Italiani e toscani nei campi

 

I rari studi italiani sull’esodo degli ex volontari dalla Spagna repubblicana si caratterizzano per l’assenza totale di ogni riferimento numerico per ciò che concerne la presenza italiana nel febbraio del 1939 nella zona di Barcellona; ne consegue l’impossibilità di comprendere esattamente in che numero gli italiani abbiano preso parte alla Retirada e in quale misura essi siano stati internati nei campi francesi (il dato numerico nel caso toscano è, in ogni caso, molto elevato con 143 ex volontari internati su 395, ovvero una percentuale superiore al 30%). Ecco, quindi, la necessità di fare riferimento alle rare testimonianze che gli internati italiani hanno lasciato e a qualche raro documento conservato negli archivi francesi per poter ricostruire questa vicenda poco nota, almeno in termini generali.

Ad esempio, per quanto riguarda il campo di Saint Cyprien, attraverso la testimonianza di Aldo Morandi, alias Riccardo Formica, riusciamo a seguire le vicissitudini di un consistente gruppo di circa seicentocinquanta italiani, acquartierati a Torelló dopo il ritiro delle Brigate internazionali dal fronte: Llagostera, Castelló de Ampurias, La Jonquera e infine Le Perthus sono le tappe della marcia di dodici giorni attraverso la quale questi uomini raggiunsero la frontiera francese il 7 febbraio 1939 e, consegnata la bandiera della brigata “Garibaldi” ad André Marty e Luigi Longo, passarono in Francia. Internato il 9 febbraio a Saint Cyprien, il gruppo di italiani venne posto sotto la guida di Morandi che, essendo l'ufficiale più alto in grado, fu nominato comandante del campo numero 7, che raccoglieva gli interbrigatisti (3.345 uomini di cinquantuno nazionalità diverse, fra cui i 492 italiani del gruppo originario partito con Morandi da Torelló).1

Una specificità dell’esperienza italiana dei campi del Sud della Francia, del resto, può essere individuata solo in alcuni momenti e contesti precisi come quello di Saint Cyprien, dato che, per lo più, gli italiani, insieme agli altri “internazionali”, condivisero fino all’ultimo le sorti dei commilitoni spagnoli e della loro Retirada: la memoria degli antifascisti provenienti dall’Italia, quindi, emerge in quanto tale soltanto laddove la nazionalità ha prevalso come elemento aggregante fra gli esuli, ovvero soprattutto nei cosiddetti campi dell’interno; nelle fasi precedenti, al contrario, la modalità di arrivo dei volontari alla frontiera e poi nei campi, attraverso percorsi individuali o in piccoli gruppi derivati dalle composite formazioni militari, non ha quasi mai permesso il costituirsi di un’immagine unica dell’esodo dei volontari italiani dalla Spagna sconfitta. Sono presenti, invece, memorie diverse e sfaccettate, incoraggiate proprio dalla confusione organizzativa e dalla sovrapposizione fra criteri politici e criteri nazionali nella suddivisione interna dei campi.

Per Saint Cyprien, ad esempio, la percezione iniziale all’arrivo nel campo non si discostò molto per gli italiani da quella generale degli esuli spagnoli: per Morandi, infatti, «il campo di internamento non esiste, è una nuda distesa di sabbia sul mare circondata da tre lati da filo spinato».2 Le condizioni di vita degli internazionali e degli italiani, però, apparvero immediatamente migliori, grazie alla capacità di autogestione e organizzazione interna degli ex combattenti e al sostegno dall’esterno che venne loro fornito da subito. Intorno al 20 di febbraio, ricorda Morandi che, mentre le baracche del campo 7 erano già costruite e si stava procedendo all’edificazione di una seconda infermeria, nel campo spagnolo gli internati «sono in condizioni pietose, non è ancora iniziata la costruzione delle baracche per cui continuano a dormire in buche scavate nella sabbia, protette da teli di recupero. […] Quei poveri diavoli sono completamente abbandonati! Hanno sempre fame, gli internazionali danno loro qualcosa, ciò che si avanza, ma non è sufficiente a sfamare diverse migliaia di uomini».3 Infatti, già nei primissimi giorni, al campo “internazionale” era stato approntato un servizio di vettovagliamento, velocemente funzionante grazie alle due cucine da campo portate dagli italiani e ai viveri raccolti fra i diversi gruppi nazionali (ad esempio, le cassette di tè, latte condensato, cioccolato e biscotti dei nordamericani).
Un’organizzazione efficace, che si rifletté anche sul piano politico, dato che l’inquadramento interno dei volontari e la propaganda rappresentavano un obiettivo prioritario per il partito comunista: già alla metà di marzo, un documento clandestino in italiano stilava un bilancio della situazione nel campo, ricostruendo le difficoltà dell’organizzazione comunista nei primi giorni e le vicende dell’installazione degli italiani;4 in base a questo lungo rapporto, «su 340 garibaldini presenti a Saint Cyprien, vi erano 191 comunisti e 101 simpatizzanti, 11 anarchici e 10 simpatizzanti, 6 socialisti e 2 simpatizzanti e 1 repubblicano»,5 ma si tratta ovviamente di dati non verificabili. Per quanto riguarda i toscani, invece, allo stato attuale è possibile individuare con certezza almeno 48 volontari passati da Saint Cyprien (fra questi, 36 comunisti, 8 antifascisti generici, 2 anarchici e 2 socialisti); fra di loro, però, tre transitarono dal campo in fasi successive (Vasco Matteoli solo a partire dal luglio 1939, Pasquale Cacciari a partire dal maggio 1940, Settimio Guerrieri addirittura fra il 1941 e il 1943), mentre per alcuni la segnalazione della permanenza a Saint Cyprien è sintomo di confusione con il vicino campo di Argelès (infatti, in almeno quattro casi viene segnalato in maniera generica uno dei due campi per indicare indistintamente la spiaggia del Roussillon). Secondo alcune fonti, infine, per alcuni giorni sarebbe transitato dal campo anche un personaggio di primo piano come Francesco Fausto Nitti, mentre per quanto riguarda la presenza a Saint Cyprien di Ottorino Orlandini, la sola prova esistente è un documento presente nell’Archive départementale des Pyrénées Orientales di Perpignan datato 20 ottobre 1939, in cui Orlandini è segnalato come evaso dal campo due giorni prima.6
Completamente diverso è, invece, il caso di Argelès, dove, durante la prima provvisoria fase di esistenza, la suddivisione interna delle baracche si basò sulle unità militari: in queste settimane i circa 3.800 “internazionali” e, fra questi gli italiani, rimasero frammisti agli spagnoli e ne condivisero le durissime condizioni di vita. Sulla trasmissione di questa drammatica memoria, probabilmente, si basa la descrizione dell’esperienza dei campi fatta da Gino Cerrito in un testo del 1984 sugli anarchici nella Resistenza apuana: per l’autore «gli anarchici italiani che avevano partecipato alla guerra civile spagnola si rifugiano con gli stessi esuli spagnoli in Francia ove li accolgono i rigori del filo spinato. Stipati in rudimentali capannoni inadatti a proteggerli dalle intemperie, con un vitto assolutamente insufficiente, facili prede dello scorbuto, della congiuntivite e di altre malattie dovute alla carenza di vitamine e condizioni igieniche inumane, i prigionieri vengono letteralmente decimati: i decessi raggiungono in pochi mesi “la cifra spaventosa di parecchie decine di migliaia”».7
Soltanto in seguito, con il ridursi del sovraffollamento del campo, venne approntata la struttura per “ilot”, basata sul criterio della nazionalità (secondo lo storico Peschanski, la decisione si basò su direttive esterne provenienti dal Komintern):8 da questo momento fino all’inizio del mese di maggio, quando gli ex brigatisti furono tutti trasferiti al campo di Gurs,9 nel campo si contavano ancora 3.036 “internazionali”, fra cui i più numerosi erano gli italiani, ben 540, seguiti da polacchi, tedeschi e cechi.10 Per quanto concerne i toscani, erano presenti al campo nei primi mesi ben 51 volontari, mentre altri nove transitarono ad Argelès nelle fasi successive (quattro addirittura nel 1941). Fra i toscani presenti tra febbraio e aprile 1939, si possono individuare 34 comunisti, 5 antifascisti generici, 2 socialisti e 2 repubblicani, ma soprattutto almeno 11 anarchici, sintomo di una composizione politica meno omogenea rispetto a quella di Saint Cyprien; in effetti, in un rapporto stilato da parte comunista intorno al 20 febbraio, si evidenziava ad Argelès più che a Saint Cyprien «la présence d’éléments qui, par leur expérience en Espagne, peuvent être catalogués de trotskistes, ce qui expliquerait le nombre des “provocations” relevées».11 E, in effetti, in base all’affinità politico-ideologica, oltre che per nazionalità, si andavano costituendo nel campo alcuni gruppi clandestini non comunisti, come ad esempio l’italiano “Libertà o morte” di orientamento libertario. Sulle vicende di questo raggruppamento, però, le informazioni sono estremamente scarse e si limitano a qualche testimonianza e a un documento reperito in un fascicolo del CPC, presso l’ACS, con cui il Ministero dell’Interno, nel 1939, segnalava 116 italiani come membri del gruppo; fra questi, gli anarchici toscani Marcello Dupuys, Dario Castellani, Angelo Bruschi, Mario Marconi, Aldo Demi, Corrado Batelli, Guglielmo Nannucci, Armando Bientinesi, Ermanno Neri, Cornelio Giacomelli e Muzio Tosi.12
Maggiormente note, invece, sono le vicende legate alla conflittualità politica interna del campo di Gurs: anche qui, secondo Pietro Ramella, «quando l’organizzazione dei campi uscì dallo stato embrionale e i francesi demandarono ai rifugiati parte dei servizi d’intendenza, di trasporto, d’infermeria, ecc., le diverse fazioni tentarono di imporre quale capo uno dei loro sia in ogni baracca sia d’ogni ilot, così da riuscire a controllare gli incarichi più importanti. Il controllo delle mansioni permetteva d’avere regolari contatti con l’esterno per ottenere informazioni, istruzioni, giornali e di acquisire una posizione preminente nei confronti di tutti gli internati, anche di quanti la pensavano diversamente. Per ottenere tale scopo, in alcuni casi, furono stilate delle vere e proprie liste di proscrizione degli avversari indesiderabili, che, consegnate alle autorità, determinarono il loro trasferimento al forte di Collioure o al campo di Le Vernet d’Ariège».13 Ramella riferisce infatti che a Gurs, dove i comunisti erano riusciti ad assicurarsi tutti gli incarichi, «il 7 luglio 1939, centocinquanta internati italiani, portoghesi e tedeschi, di diverse tendenze politiche, stanchi delle vessazioni degli stalinisti, presentarono domanda al comandante del campo per essere separati da questi ultimi. Per calmare gli animi fu loro offerto il controllo della mensa e della posta […]. Ma i centocinquanta, sostenuti dalla maggioranza degli internati, rifiutarono di cedere al ricatto. Il 6 agosto “l’Avanti!” titolò: “Nel campo di Gurs i volontari internazionali della guerra di Spagna si sono ribellati in massa contro la tirannia dei funzionari di Mosca”. Dopo essere venuti alle mani, i comunisti capitolarono e gli altri ottennero soddisfazione».14
Conferma di questa versione sembrerebbe venire dall’analogo resoconto fatto da Claude Laharie sui contrasti interni al gruppo tedesco,15 mentre (con un’impostazione meno partigiana) anche Denis Peschanski riferisce che nel campo di Gurs «i comunisti avevano il controllo delle principali istanze, ai differenti livelli (il comandante interno del campo, quello di tutti i brigatisti, quello del gruppo italiano, la mensa e l’infermeria dell’ilot italo-spagnolo, ecc.). Al livello inferiore, ogni baracca aveva un responsabile e un delegato culturale (che proveniva dalla commissione culturale del gruppo italiano)».16 Si tratta, evidentemente, di una penetrazione capillare: «forte dell’esperienza acquisita a Saint Cyprien e ad Argelès, l’organizzazione comunista si era adattata perfettamente alle nuove condizioni di internamento di Vernet e Gurs»;17 più che indebolirla, il trasferimento di tutti gli internazionali a Gurs, nell’aprile 1939, l’aveva rafforzata, riunendo in uno stesso campo circa 900 italiani (902 alla data del 10 maggio, poi 872 il 10 giugno),18 collocati probabilmente in uno degli ilot del campo internazionale (G, H, I o J).
In base a un rapporto comunista del 16 giugno 1939 sulla situazione organizzativa, economica, materiale e politica del gruppo italiano del campo di concentrazione di Gurs, sul totale degli italiani «si contavano circa 400 comunisti e 100 simpatizzanti, 50 socialisti, 200 anarchici, gli altri senza appartenenza»;19 una disomogeneità netta, quindi, confermata anche dai dati sui toscani, seppur in maniera meno marcata: su un totale di 87 volontari toscani internati nel campo, infatti, sono presenti 54 comunisti, 12 anarchici, 4 socialisti, 2 repubblicani, 13 senza appartenenza. Non stupisce, di conseguenza, che nello stesso documento si sottolineasse come gli incidenti fra le diverse componenti politiche fossero frequenti; vista la fonte, inoltre, non stupisce nemmeno che si sostenesse che la causa andava ricercata nel fatto che molti anarchici collaboravano con la polizia francese e con la direzione del campo, che si appoggiava preferibilmente sui non comunisti per aumentare il dissidio interno e facilitare il proprio controllo sul campo.20
Interessante è anche notare il percorso compiuto dai volontari toscani prima di arrivare al campo, esemplificativo dell’esperienza più generale di molti altri volontari italiani e non solo: transitata dai vari posti di frontiera e raccolta sulle spiagge del Roussillon, la maggior parte degli internati venne incorporata al gruppo degli internazionali nei campi di Saint Cyprien e Argelès e, di conseguenza, arrivò a Gurs in seguito al trasferimento collettivo degli ex brigatisti della fine di aprile 1939;21 alcuni singoli volontari, invece, furono internati a Gurs in momenti diversi, perché provenienti da prigioni belghe, come nel caso di Cafiero Meucci, consegnato alla polizia francese nel maggio 1940, o perché sfuggiti al controllo alla frontiera, ma arrestati successivamente in località francesi vicine al confine con la Spagna (ad esempio, Oreste Franzoni fermato a Toulouse e trasferito a Gurs nell’agosto 1939). Altri, infine, forse confusi con gli spagnoli o forse ricoverati negli ospedali del dipartimento dei Pirenei orientali, rimasero nei campi della spiaggia fin dopo l’estate e vennero trasferiti a Gurs in momenti successivi: da Saint Cyprien, ad esempio, l’empolese Vasco Matteoli partì nel luglio 1939, alla chiusura provvisoria del campo, mentre Pietro Borghi di Poggibonsi risulta aver lasciato il campo solo il 20 ottobre dello stesso anno; ancora più procrastinato il trasferimento del grossetano Angelo Rossi, che risulta ancora internato a Saint Cyprien all’inizio del 1940…
Per ciò che concerne, invece, le partenze dal campo di Gurs, si hanno percorsi estremamente diversificati: fra i primi a uscire dal campo, nel settembre 1939, furono quattro toscani arruolatisi nell’esercito francese allo scoppio delle ostilità (fra loro, il lucchese Vittorio Marcucci nella Legione straniera, da cui si fece in breve riformare), mentre durante lo stesso anno alcuni miliziani vennero trasferiti nel campo di Vernet con provvedimenti disciplinari, forse proprio a causa del rifiuto espresso all’arruolamento (Renato Bertolini di Fivizzano e Oliviero Bonatti di Figline nell’ottobre 1939). La differente resistenza fisica e morale degli uomini, infatti, influiva sulla capacità di rifiutare le possibilità di uscita dal campo offerte dall’autorità francese: un secondo gruppo consistente di 16 toscani, ad esempio, forse provato dal lungo e freddo inverno gursiano, lasciò il campo nella primavera del 1940, attraverso la formula dell’arruolamento nelle Compagnies de Travailleurs étrangers,22 mentre nel giugno dello stesso anno il primo volontario toscano accettò di essere rimpatriato in Italia… Non mancarono le evasioni, probabilmente sottostimate per la carenza di informazioni pervenuteci (in circa una quindicina di casi, in cui i volontari risultano aver lasciato il campo in data imprecisata e con destinazione ignota, la fuga dal campo sembra l’ipotesi più attendibile, pur se non comprovata), né le pur rare liberazioni, come quella di Nello Boscagli di Sinalunga che secondo alcune fonti sarebbe stato rilasciato su richiesta dei familiari residenti nel nizzardo, che si erano impegnati a mantenerlo. Vi sono, infine, gli spostamenti verso altri campi, nel 1940 per lo più Vernet, poi a partire dal 1941 anche Mont Louis e Argelès (alla metà del 1941 risultano trasferiti nel primo 5 toscani e nel secondo 8).
Per quanto riguarda il Vernet, in particolare, occorre ricordare che, in seguito all’applicazione della legislazione anticomunista varata nel settembre 1939 (e completata dal decreto Daladier del 18 novembre 1939 sugli individui sospetti e pericolosi dal punto di vista nazionale), il campo divenne un campo disciplinare, definito a carattere “repressivo”, dove inviare gli stranieri sospetti, gli estremisti o gli individui pericolosi per l’ordine pubblico o per l’interesse nazionale,23 suddivisi in tre settori separati: il “quartier A” raggruppava coloro che erano stati internati per motivi di diritto comune (documenti falsi, mancanza di carta d’identità) o che erano stati condannati; il “quartier B” conteneva invece gli estremisti pericolosi, comunisti o anarchici; nel “quartier C”, infine, si trovavano tutti gli altri, cioè i sospetti, tutti coloro di cui non si conosceva bene il dossier personale, ma che erano sospettati di essere degli estremisti (e fra questi, ovviamente, in primo luogo gli ex volontari delle Brigate Internazionali trasferiti da Gurs).24 Fra i toscani, 40 furono certamente internati nel “quartier B” (prevalentemente nelle baracche n. 7, 9, 20 e 22) e 35 nel “quartier C” (baracche n. 35, 36, 37 e 48), mentre solo in 8 casi dei volontari toscani furono aggregati al “quartier A” per i condannati di diritto comune.
In particolare, attraverso i documenti dell’Archive departementale de l’Ariège, si possono individuare due consistenti trasferimenti di italiani da Gurs verso il Vernet, in cui risultano compresi anche quasi tutti i toscani rimasti nel campo: il 19 maggio 1940 fu il turno di ben otto volontari (Gastone Cinelli, Giordano Bruno Giachi, Pietro Lari, Vasco Matteoli, Galliano Panicucci, Dino Rabuzzi, Siro Rosi e Alessandro Sinigaglia),25 mentre il successivo 5 giugno la lista di trasferimento ne comprendeva altri dieci (Vittorio Bardini, Renato Bartolini, Ugo Cardenti, Mario Ceccarini, Giulio Lisi, Bruno Rossetti, Giorgio Rossi, Dino Saccenti, Egidio Seghi e Giovanni Soldaini).26 In totale, quindi, gli internati toscani del Vernet provenienti dal campo di Gurs erano in numero di 23. Inoltre, a seguito della riorganizzazione del sistema dei campi, su Vernet erano confluiti dal 1940 in poi ex volontari da molti altri campi francesi e, in particolare, erano stati trasferiti in tutto altri 19 toscani: da Argelès il 29/4/1941 era partito un convoglio con Armando Gualtieri, Giovanni Giugni e probabilmente Lelio Giannini, mentre lo stesso giorno da Mont Louis un altro o forse lo stesso trasporto aveva riguardato ben sette toscani (Oberdan Chiesa, Giuseppe Franci, Aladino Frangini, Giuseppe Iacopini, Giovanni Martinucci, Mosè Mazzierli, Orlando Storai); da Saint Cyprien, proveniva in data imprecisata Amilcare Balloni, mentre da Rieucros, erano arrivati, già nell’ottobre 1939, Nello Montanari e Liberale Tonelli (dallo stesso campo Elivio Prosperi era giunto a Vernet solo nel marzo 1944); infine, trasferiti da Saint Sulpice la Pointe, giunsero Angelo Grassi nel settembre 1941 e Francesco Fausto Nitti nel luglio 1943 e da Brebant, Armando Pasqualetti nel maggio 1941 e Ideale Guelfi nel marzo 1942.
I restanti arrivi si legavano ai numerosi fermi effettuati sul territorio francese: talvolta veri e propri rastrellamenti, come nel caso degli arresti dello stadio Roland Garros di Parigi, da cui arrivarono a Vernet, in momenti diversi, Guglielmo Bertini e Silvio Sardi (noto come Raphael Chantelli, quest’ultimo sarà l’anima del gruppo anarchico italiano del Vernet),27 in altri casi arresti sporadici, magari semplicemente determinati da un casuale controllo dei documenti, che portavano i sospetti, e fra questi gli ex volontari, nelle locali prigioni e da lì attraverso convogli programmati, direttamente al settore C del campo (un esempio in tal senso è quello dei tre toscani imprigionati nelle carceri del Frejus nel dipartimento del Var che vennero uniti ai quattro provenienti dalla prigione di Sainte Catherine di Tolone nel convoglio del 28/5/1940 per Vernet). In particolare, l’arrivo degli italiani al campo si incentivò a partire dal giugno del 1940, quando, secondo Peschanski, in brevissimo tempo ben 8.500 italiani vennero internati a seguito della dichiarazione di guerra di Mussolini del 10 giugno.28
Per gli italiani, l’esperienza dei campi francesi, in ogni caso, si concluse quasi sempre con il campo di Vernet. In effetti, con la resa francese e la stipulazione della convenzione d’armistizio franco-italiana, era stato stabilito che tutti i prigionieri di guerra e i civili italiani internati fossero immediatamente liberati e rimessi alle autorità militari italiane.29 Dato che inizialmente gli internati potevano scegliere liberamente se essere consegnati alle autorità italiane (e visto che i rimpatri rimanevano scarsi),30 nell’estate del 1940 una Commissione di Armistizio visitò i campi al fine di individuare gli italiani e convincerli a firmare per il rientro in Italia. Nel luglio, però, l’opera di convincimento della Commissione e le pressioni dei responsabili del campo erano riuscite a far partire dal campo di Vernet per l’Italia soltanto alcuni internati, e fra questi anche cinque toscani (Amerigo Borghini, Lanciotto Corsi, Casimiro Malachina, Ferrruccio Mazzino Fedi, Antonio Cabrelli); nel dicembre 1940, quindi, una seconda delegazione, guidata dal Barone Confalonieri,31 tornò al Vernet, dove si trovavano gli ultimi cinquecento italiani detenuti, al fine di sollecitare le procedure di rimpatrio volontario.32
Dalle schede personali dei volontari toscani nell’archivio del Vernet, si evince come la Commissione operasse attraverso lusinghe e favori, agevolando gli italiani propensi a tornare con l’invio di denaro o il miglioramento delle condizioni nel campo (ad esempio, nel 1942, prima della partenza per l’Italia, Aladino Frangini, Liberale Tonelli e Armando Gualtieri ottennero tutti dalla Commissione un piccolo “soccorso finanziario” di 50 o 100 franchi);33 in alcuni casi, inoltre, la Commissione cercava di ottenere per i volontari la concessione di particolari permessi, come nel caso di Romualdo Del Papa, in favore del quale il conte Gloria, delegato della Commissione rimpatri di Tolone, intervenne perché potesse recarsi in quella città al fine di contrarre matrimonio e regolarizzare la posizione della sua famiglia prima del rientro in Italia;34 o come nel caso del cognato di Del Papa, “Angelo” Onofrio Lodovici, che, dopo aver espressamente rifiutato il rimpatrio, venne blandito dalla Commissione con la promessa di un permesso con cui recarsi a Tolosa da uno specialista per l'impianto di un occhio di vetro (infatti, avendo perso l’occhio destro durante la guerra di Spagna, Lodovici rischiava a questo punto di perdere la vista per la ferita trascurata).35
Nonostante questi accorgimenti, però, i rimpatri rimasero episodici fino al febbraio 1941, quando, infine, la Francia si impegnò a consegnare tutti gli italiani e l’amministrazione del Vernet stilò le liste di partenza, con i nomi degli internati da condurre sotto scorta alla frontiera per essere consegnati alle autorità italiane:36 tra l’aprile e il maggio 1941 lasciarono il campo ben 11 toscani, mentre nel settembre successivo partirono in 17, raggruppati in convogli come quello del 23 settembre 1941, costituito da Vittorio Bardini, Francesco Bartolini, Pietro Borghi, Oberdan Chiesa, Giuseppe Franci, Giuseppe Iacopini, Romeo Landini, Libero Mariotti, Giovanni Martinucci, Mosè Mazzierli, Bruno Monciatti, Nello Montanari, Galliano Panicucci. I rimpatri forzati proseguirono così a pieno ritmo: per tutto il 1942 e nei primi mesi del 1943, dal campo vennero condotti a Mentone quasi tutti gli italiani rimasti e almeno altri 19 toscani. Alcuni detenuti, però, approfittavano della scarsa sorveglianza durante i trasferimenti alla frontiera per evadere e darsi alla macchia: è questo il caso, per i toscani, di Anchise Carli e Gino Dei, fuggiti dal trasporto per Mentone del 18 luglio 1943, riarrestati nella zona del confine dopo pochi giorni, quindi nuovamente rinchiusi al Vernet e, da lì, deportati col “train fantôme” del 9 agosto 1944 a Dachau, insieme con Vittorio Marcucci; ugualmente deportati furono Renato Bertolini ed Elivio Prosperi, entrambi a Buchenwald, mentre più fortunati furono, ad esempio, il grossetano Siro Rosi ed Egidio Seghi che, anch’essi evasi dal campo, riuscirono a raggiungere le formazioni della Resistenza francese.

 

(Ilaria Cansella)

 

 

Note

  1. Cfr. Aldo Morandi, In nome della libertà. Diario della guerra di Spagna 1936-1939, a cura di Pietro Ramella, Mursia, Milano, 2002.
  2. Aldo Morandi, In nome della libertà, cit., p. 222.
  3. Idem, p. 233.
  4. “Situazione politica del campo nel corso dei primi giorni”, n.d. manoscritto, 16 pagine, CRCEDHC 545/6/469a, citato in Denis Peschanski, La France de camps. L’internement 1938-1946, Gallimard, Paris, 2006, pp. 55 e sgg.
  5. Denis Peschanski, La France de camps, cit., p. 57.
  6. ADPO 2127W4 f. 76 “Evadés des camps”.
  7. Gino Cerrito, Gli anarchici nella Resistenza apuana, Maria Pacini Fazzi, Lucca, 1984, p. 34.
  8. Denis Peschanski, La France de camps, cit., p. 53.
  9. ADPO 31W274 nota del 1/5/1939.
  10. Cfr. “Rapport du Commissaire spécial du camp au contrôleur général de la Sûreté Nationale” del 7/4/1939, conservato presso gli Archives Nationales, Centre des Archives Contemporaines, in Archives restituées par la Russie (fond russe), Préfecture des départements 20000414 art. 31 (citato in Grégory Tuban, Les séquestrés de Collioure. Un camp disciplinaire au Château royal en 1939, Mare nostrum, Perpignan, 2003, p. 34).
  11. Denis Peschanski, La France de camps, cit., p. 55.
  12. Cfr. Ministero dell’Interno, “Copia di un quadro di militanti libertari del gruppo Libertà o morte (Campo d’Argelès sur Mer – Francia)”, 1939, Riservato, in ACS CPC b. 1690 f. 127015, citato in Fausto Bucci, Rodolfo Bugiani, Simonetta Carolini, Andrea Tozzi, Gli antifascisti grossetani nella guerra civile spagnola, La Ginestra, Follonica, 2000, pp. 231-232.
  13. Pietro Ramella, La Retirada. L’odissea di 500.000 repubblicani spagnoli esuli dopo la guerra civile (1939/1945), Lampi di stampa, Milano, 2003, p. 87.
  14. Idem, pp. 89-90.
  15. Claude Laharie, Le camp de Gurs 1939-1945, un aspect méconnu de l’histoire de Vichy, J&D, Pau, 1993, pp. 107 e sgg.
  16. Denis Peschanski, La France de camps, cit., p. 59.
  17. Ibidem.
  18. Claude Laharie, Le camp de Gurs 1939-1945, p. 104 (tabella 3). Gli italiani sono uno dei gruppi nazionali più rappresentati, insieme a polacchi, tedeschi, cecoslovacchi, austriaci, jugoslavi: secondo Laharie, infatti, «i gruppi più numerosi appartengono sia a stati dove la dittatura si è installata da molti anni (dal 1922 in Italia, dal 1926 in Polonia), sia a nazioni soffocate dal nazismo (Germania, Cecoslovacchia e Austria). Esiste dunque un legame diretto fra la loro presenza in Spagna, poi a Gurs, e la natura antidemocratica dei governi dei loro paesi» (Claude Laharie, Le camp de Gurs 1939-1945, p. 105).
  19. “Rapporto sulla situazione organizzativa, economica, materiale e politica del gruppo italiano del campo di concentrazione di Gurs”, Francia, fino al 26 maggio 1939, Artorige, manoscritto, 10 pagine, CRCEDHC 545/6/469a, citato in Denis Peschanski, La France de camps, cit., p. 59.
  20. Ibidem.
  21. Cfr. ADPO 31W274 nota del 1/5/1939.
  22. Tutte queste vicende particolari, però, si inseriscono e vanno lette in un contesto generale in forte mutamento: con le politiche eccezionali avviate in seguito alla dichiarazione di guerra del settembre 1939, infatti, lo Stato francese aveva modificato radicalmente la propria politica di internamento, avviando la persecuzione dei comunisti e cominciando al contrario a considerare i rifugiati spagnoli come manodopera utile per l’economia di guerra, attraverso il meccanismo delle CTE. Inizialmente, però, «gli internazionali non sono presi in considerazione per le CTE, non perché rifiutino questa modalità di uscita dal campo, ma perché i servizi francesi, che non si fidano di questi uomini pericolosi, quasi tutti reputati comunisti, non la propongono loro» (Claude Laharie, Le camp de Gurs, 1939-1945, p. 129); così, mentre il totale degli spagnoli si riduceva drasticamente, gli internazionali «diminuiscono in nove mesi soltanto della metà e il loro peso proporzionale non smette di aumentare fra la popolazione del campo: 30,2% il 1° settembre 1939, 42,9% il 1° novembre, 54,5% il 1° dicembre, 80,8% il 1° marzo 1940 e 82,1% il 1° maggio. A questa data, Gurs è diventato un campo quasi esclusivamente “internazionale”» (Claude Laharie, Le camp de Gurs, 1939-1945, p. 125). E’soltanto con la riduzione del numero degli internati spagnoli e la necessità di svuotare il campo dai cosiddetti “indésidérables”, allora, che anche gli ex brigatisti sono incorporati nelle CTE, a partire dall’inizio del 1940 e poi, massicciamente, nella primavera dello stesso anno.
  23. ADPO 109W227 nota del 28/9/1939.
  24. Cfr. Claude Del Pla, Le Camp du Vernet d’Ariège, Edition Private, Toulouse, s.d., p. 46.
  25. ADPO 5W340 “Etat de miliciens internationaux du camp de Gurs dirigés le 18 mai 1940 sur le camp du Vernet”, nota del 17/5/1940 e « Liste des étrangers suspects internés, arrivés au camp de Vernet le 19 mai 1940 venant de Gurs (Basses Pyrénées)”, s.d.
  26. ADPO 5W340 “Etat de miliciens internationaux du camp de Gurs dirigés le 4 juin 1940 sur le camp du Vernet”, nota del 3/6/1940 e « Liste des étrangers suspects internés, arrivés au camp de Vernet le 5 juin 1940 venant de Gurs (Basses Pyrénées)”, s.d.
  27. Cfr. Claude Del Pla, Le Camp du Vernet d’Ariège, Edition Private, Toulouse, s.d., p. 52.
  28. Cfr. Denis Peschanski, La France des Camps, cit., pp. 161-162.
  29. Cfr. Anne Grynberg, Anne Charaudeau, Les camps d’internement, in Pierre Milza, Denis Peschanski, Exils et migrations : Italiens et Espagnols en France 1938-1946, L’Harmattan, Paris, 1994, p. 153.
  30. Ad esempio, nell’aprile 1940, all’interno del “quartier B”, solo 20 internati italiani su 135 si dicevano disposti a rimpatriare (Cfr. ADEA 5W394 nota del 3/4/1940). Fra questi, anche il toscano Lanciotti Corsi, che sarà effettivamente rimpatriato di lì a poco.
  31. ADPO 31W95 nota del 12/5/1940.
  32. A conferma della presunta volontarietà della scelta, rimangono i numerosissimi telegrammi, conservati negli Archives Départeméntales de l’Ariège, con cui il Ministero dell’Interno richiedeva ai responsabili dei campi l’autorizzazione di ogni singolo internato al rimpatrio (cfr., solo ad esempio, ADEA 5W228 f. 1570 Del Papa Romualdo, telegramma del 31/7/1941).
  33. Cfr. ADPO 5W367.
  34. Cfr. ADEA 5W228 f. 1570 Del Papa Romualdo.
  35. Cfr. ADEA 5W295 f. 4936 Lodovici Angelo.
  36. Cfr. ad esempio, Ministre de l’Intérieur – Camp du Vernet d’Ariège, “Liste des ressortissants italiens à transferer sur Menton le 9 mai 1941”, in ADEA 5W393.