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Italiani e toscani nei campi
I rari studi italiani sull’esodo degli ex volontari
dalla Spagna repubblicana si caratterizzano per l’assenza totale
di ogni riferimento numerico per ciò che concerne la presenza
italiana nel febbraio del 1939 nella zona di Barcellona; ne consegue
l’impossibilità di comprendere esattamente in che numero
gli italiani abbiano preso parte alla Retirada e in quale misura essi
siano stati internati nei campi francesi (il dato numerico nel caso
toscano è, in ogni caso, molto elevato con 143 ex volontari internati
su 395, ovvero una percentuale superiore al 30%). Ecco, quindi, la necessità
di fare riferimento alle rare testimonianze che gli internati italiani
hanno lasciato e a qualche raro documento conservato negli archivi francesi
per poter ricostruire questa vicenda poco nota, almeno in termini generali.
Ad esempio, per quanto riguarda il campo di Saint
Cyprien, attraverso la testimonianza di Aldo Morandi, alias Riccardo
Formica, riusciamo a seguire le vicissitudini di un consistente gruppo
di circa seicentocinquanta italiani, acquartierati a Torelló
dopo il ritiro delle Brigate internazionali dal fronte: Llagostera,
Castelló de Ampurias, La Jonquera e infine Le Perthus sono le
tappe della marcia di dodici giorni attraverso la quale questi uomini
raggiunsero la frontiera francese il 7 febbraio 1939 e, consegnata la
bandiera della brigata “Garibaldi” ad André Marty
e Luigi Longo, passarono in Francia. Internato il 9 febbraio a Saint
Cyprien, il gruppo di italiani venne posto sotto la guida di Morandi
che, essendo l'ufficiale più alto in grado, fu nominato comandante
del campo numero 7, che raccoglieva gli interbrigatisti (3.345 uomini
di cinquantuno nazionalità diverse, fra cui i 492 italiani del
gruppo originario partito con Morandi da Torelló).1
Una specificità dell’esperienza italiana
dei campi del Sud della Francia, del resto, può essere individuata
solo in alcuni momenti e contesti precisi come quello di Saint Cyprien,
dato che, per lo più, gli italiani, insieme agli altri “internazionali”,
condivisero fino all’ultimo le sorti dei commilitoni spagnoli
e della loro Retirada: la memoria degli antifascisti provenienti dall’Italia,
quindi, emerge in quanto tale soltanto laddove la nazionalità
ha prevalso come elemento aggregante fra gli esuli, ovvero soprattutto
nei cosiddetti campi dell’interno; nelle fasi precedenti, al contrario,
la modalità di arrivo dei volontari alla frontiera e poi nei
campi, attraverso percorsi individuali o in piccoli gruppi derivati
dalle composite formazioni militari, non ha quasi mai permesso il costituirsi
di un’immagine unica dell’esodo dei volontari italiani dalla
Spagna sconfitta. Sono presenti, invece, memorie diverse e sfaccettate,
incoraggiate proprio dalla confusione organizzativa e dalla sovrapposizione
fra criteri politici e criteri nazionali nella suddivisione interna
dei campi.
Per Saint Cyprien, ad esempio, la percezione iniziale
all’arrivo nel campo non si discostò molto per gli italiani
da quella generale degli esuli spagnoli: per Morandi, infatti, «il
campo di internamento non esiste, è una nuda distesa di sabbia
sul mare circondata da tre lati da filo spinato».2
Le condizioni di vita degli internazionali e degli italiani, però,
apparvero immediatamente migliori, grazie alla capacità di autogestione
e organizzazione interna degli ex combattenti e al sostegno dall’esterno
che venne loro fornito da subito. Intorno al 20 di febbraio, ricorda
Morandi che, mentre le baracche del campo 7 erano già costruite
e si stava procedendo all’edificazione di una seconda infermeria,
nel campo spagnolo gli internati «sono in condizioni pietose,
non è ancora iniziata la costruzione delle baracche per cui continuano
a dormire in buche scavate nella sabbia, protette da teli di recupero.
[…] Quei poveri diavoli sono completamente abbandonati! Hanno
sempre fame, gli internazionali danno loro qualcosa, ciò che
si avanza, ma non è sufficiente a sfamare diverse migliaia di
uomini».3 Infatti, già nei primissimi
giorni, al campo “internazionale” era stato approntato un
servizio di vettovagliamento, velocemente funzionante grazie alle due
cucine da campo portate dagli italiani e ai viveri raccolti fra i diversi
gruppi nazionali (ad esempio, le cassette di tè, latte condensato,
cioccolato e biscotti dei nordamericani).
Un’organizzazione efficace, che si rifletté anche sul piano
politico, dato che l’inquadramento interno dei volontari e la
propaganda rappresentavano un obiettivo prioritario per il partito comunista:
già alla metà di marzo, un documento clandestino in italiano
stilava un bilancio della situazione nel campo, ricostruendo le difficoltà
dell’organizzazione comunista nei primi giorni e le vicende dell’installazione
degli italiani;4 in base a questo lungo rapporto,
«su 340 garibaldini presenti a Saint Cyprien, vi erano 191 comunisti
e 101 simpatizzanti, 11 anarchici e 10 simpatizzanti, 6 socialisti e
2 simpatizzanti e 1 repubblicano»,5 ma si
tratta ovviamente di dati non verificabili. Per quanto riguarda i toscani,
invece, allo stato attuale è possibile individuare con certezza
almeno 48 volontari passati da Saint Cyprien (fra questi, 36 comunisti,
8 antifascisti generici, 2 anarchici e 2 socialisti); fra di loro, però,
tre transitarono dal campo in fasi successive (Vasco Matteoli solo a
partire dal luglio 1939, Pasquale Cacciari a partire dal maggio 1940,
Settimio Guerrieri addirittura fra il 1941 e il 1943), mentre per alcuni
la segnalazione della permanenza a Saint Cyprien è sintomo di
confusione con il vicino campo di Argelès (infatti, in almeno
quattro casi viene segnalato in maniera generica uno dei due campi per
indicare indistintamente la spiaggia del Roussillon). Secondo alcune
fonti, infine, per alcuni giorni sarebbe transitato dal campo anche
un personaggio di primo piano come Francesco Fausto Nitti, mentre per
quanto riguarda la presenza a Saint Cyprien di Ottorino Orlandini, la
sola prova esistente è un documento presente nell’Archive
départementale des Pyrénées Orientales di Perpignan
datato 20 ottobre 1939, in cui Orlandini è segnalato come evaso
dal campo due giorni prima.6
Completamente diverso è, invece, il caso di Argelès, dove,
durante la prima provvisoria fase di esistenza, la suddivisione interna
delle baracche si basò sulle unità militari: in queste
settimane i circa 3.800 “internazionali” e, fra questi gli
italiani, rimasero frammisti agli spagnoli e ne condivisero le durissime
condizioni di vita. Sulla trasmissione di questa drammatica memoria,
probabilmente, si basa la descrizione dell’esperienza dei campi
fatta da Gino Cerrito in un testo del 1984 sugli anarchici nella Resistenza
apuana: per l’autore «gli anarchici italiani che avevano
partecipato alla guerra civile spagnola si rifugiano con gli stessi
esuli spagnoli in Francia ove li accolgono i rigori del filo spinato.
Stipati in rudimentali capannoni inadatti a proteggerli dalle intemperie,
con un vitto assolutamente insufficiente, facili prede dello scorbuto,
della congiuntivite e di altre malattie dovute alla carenza di vitamine
e condizioni igieniche inumane, i prigionieri vengono letteralmente
decimati: i decessi raggiungono in pochi mesi “la cifra spaventosa
di parecchie decine di migliaia”».7
Soltanto in seguito, con il ridursi del sovraffollamento del campo,
venne approntata la struttura per “ilot”, basata sul criterio
della nazionalità (secondo lo storico Peschanski, la decisione
si basò su direttive esterne provenienti dal Komintern):8
da questo momento fino all’inizio del mese di maggio, quando gli
ex brigatisti furono tutti trasferiti al campo di Gurs,9
nel campo si contavano ancora 3.036 “internazionali”, fra
cui i più numerosi erano gli italiani, ben 540, seguiti da polacchi,
tedeschi e cechi.10 Per quanto concerne i toscani,
erano presenti al campo nei primi mesi ben 51 volontari, mentre altri
nove transitarono ad Argelès nelle fasi successive (quattro addirittura
nel 1941). Fra i toscani presenti tra febbraio e aprile 1939, si possono
individuare 34 comunisti, 5 antifascisti generici, 2 socialisti e 2
repubblicani, ma soprattutto almeno 11 anarchici, sintomo di una composizione
politica meno omogenea rispetto a quella di Saint Cyprien; in effetti,
in un rapporto stilato da parte comunista intorno al 20 febbraio, si
evidenziava ad Argelès più che a Saint Cyprien «la
présence d’éléments qui, par leur expérience
en Espagne, peuvent être catalogués de trotskistes, ce
qui expliquerait le nombre des “provocations” relevées».11
E, in effetti, in base all’affinità politico-ideologica,
oltre che per nazionalità, si andavano costituendo nel campo
alcuni gruppi clandestini non comunisti, come ad esempio l’italiano
“Libertà o morte” di orientamento libertario. Sulle
vicende di questo raggruppamento, però, le informazioni sono
estremamente scarse e si limitano a qualche testimonianza e a un documento
reperito in un fascicolo del CPC, presso l’ACS, con cui il Ministero
dell’Interno, nel 1939, segnalava 116 italiani come membri del
gruppo; fra questi, gli anarchici toscani Marcello Dupuys, Dario Castellani,
Angelo Bruschi, Mario Marconi, Aldo Demi, Corrado Batelli, Guglielmo
Nannucci, Armando Bientinesi, Ermanno Neri, Cornelio Giacomelli e Muzio
Tosi.12
Maggiormente note, invece, sono le vicende legate alla conflittualità
politica interna del campo di Gurs: anche qui, secondo Pietro Ramella,
«quando l’organizzazione dei campi uscì dallo stato
embrionale e i francesi demandarono ai rifugiati parte dei servizi d’intendenza,
di trasporto, d’infermeria, ecc., le diverse fazioni tentarono
di imporre quale capo uno dei loro sia in ogni baracca sia d’ogni
ilot, così da riuscire a controllare gli incarichi più
importanti. Il controllo delle mansioni permetteva d’avere regolari
contatti con l’esterno per ottenere informazioni, istruzioni,
giornali e di acquisire una posizione preminente nei confronti di tutti
gli internati, anche di quanti la pensavano diversamente. Per ottenere
tale scopo, in alcuni casi, furono stilate delle vere e proprie liste
di proscrizione degli avversari indesiderabili, che, consegnate alle
autorità, determinarono il loro trasferimento al forte di Collioure
o al campo di Le Vernet d’Ariège».13
Ramella riferisce infatti che a Gurs, dove i comunisti erano riusciti
ad assicurarsi tutti gli incarichi, «il 7 luglio 1939, centocinquanta
internati italiani, portoghesi e tedeschi, di diverse tendenze politiche,
stanchi delle vessazioni degli stalinisti, presentarono domanda al comandante
del campo per essere separati da questi ultimi. Per calmare gli animi
fu loro offerto il controllo della mensa e della posta […]. Ma
i centocinquanta, sostenuti dalla maggioranza degli internati, rifiutarono
di cedere al ricatto. Il 6 agosto “l’Avanti!” titolò:
“Nel campo di Gurs i volontari internazionali della guerra di
Spagna si sono ribellati in massa contro la tirannia dei funzionari
di Mosca”. Dopo essere venuti alle mani, i comunisti capitolarono
e gli altri ottennero soddisfazione».14
Conferma di questa versione sembrerebbe venire dall’analogo resoconto
fatto da Claude Laharie sui contrasti interni al gruppo tedesco,15
mentre (con un’impostazione meno partigiana) anche Denis Peschanski
riferisce che nel campo di Gurs «i comunisti avevano il controllo
delle principali istanze, ai differenti livelli (il comandante interno
del campo, quello di tutti i brigatisti, quello del gruppo italiano,
la mensa e l’infermeria dell’ilot italo-spagnolo, ecc.).
Al livello inferiore, ogni baracca aveva un responsabile e un delegato
culturale (che proveniva dalla commissione culturale del gruppo italiano)».16
Si tratta, evidentemente, di una penetrazione capillare: «forte
dell’esperienza acquisita a Saint Cyprien e ad Argelès,
l’organizzazione comunista si era adattata perfettamente alle
nuove condizioni di internamento di Vernet e Gurs»;17
più che indebolirla, il trasferimento di tutti gli internazionali
a Gurs, nell’aprile 1939, l’aveva rafforzata, riunendo in
uno stesso campo circa 900 italiani (902 alla data del 10 maggio, poi
872 il 10 giugno),18 collocati probabilmente in
uno degli ilot del campo internazionale (G, H, I o J).
In base a un rapporto comunista del 16 giugno 1939 sulla situazione
organizzativa, economica, materiale e politica del gruppo italiano del
campo di concentrazione di Gurs, sul totale degli italiani «si
contavano circa 400 comunisti e 100 simpatizzanti, 50 socialisti, 200
anarchici, gli altri senza appartenenza»;19
una disomogeneità netta, quindi, confermata anche dai dati sui
toscani, seppur in maniera meno marcata: su un totale di 87 volontari
toscani internati nel campo, infatti, sono presenti 54 comunisti, 12
anarchici, 4 socialisti, 2 repubblicani, 13 senza appartenenza. Non
stupisce, di conseguenza, che nello stesso documento si sottolineasse
come gli incidenti fra le diverse componenti politiche fossero frequenti;
vista la fonte, inoltre, non stupisce nemmeno che si sostenesse che
la causa andava ricercata nel fatto che molti anarchici collaboravano
con la polizia francese e con la direzione del campo, che si appoggiava
preferibilmente sui non comunisti per aumentare il dissidio interno
e facilitare il proprio controllo sul campo.20
Interessante è anche notare il percorso compiuto dai volontari
toscani prima di arrivare al campo, esemplificativo dell’esperienza
più generale di molti altri volontari italiani e non solo: transitata
dai vari posti di frontiera e raccolta sulle spiagge del Roussillon,
la maggior parte degli internati venne incorporata al gruppo degli internazionali
nei campi di Saint Cyprien e Argelès e, di conseguenza, arrivò
a Gurs in seguito al trasferimento collettivo degli ex brigatisti della
fine di aprile 1939;21 alcuni singoli volontari,
invece, furono internati a Gurs in momenti diversi, perché provenienti
da prigioni belghe, come nel caso di Cafiero Meucci, consegnato alla
polizia francese nel maggio 1940, o perché sfuggiti al controllo
alla frontiera, ma arrestati successivamente in località francesi
vicine al confine con la Spagna (ad esempio, Oreste Franzoni fermato
a Toulouse e trasferito a Gurs nell’agosto 1939). Altri, infine,
forse confusi con gli spagnoli o forse ricoverati negli ospedali del
dipartimento dei Pirenei orientali, rimasero nei campi della spiaggia
fin dopo l’estate e vennero trasferiti a Gurs in momenti successivi:
da Saint Cyprien, ad esempio, l’empolese Vasco Matteoli partì
nel luglio 1939, alla chiusura provvisoria del campo, mentre Pietro
Borghi di Poggibonsi risulta aver lasciato il campo solo il 20 ottobre
dello stesso anno; ancora più procrastinato il trasferimento
del grossetano Angelo Rossi, che risulta ancora internato a Saint Cyprien
all’inizio del 1940…
Per ciò che concerne, invece, le partenze dal campo di Gurs,
si hanno percorsi estremamente diversificati: fra i primi a uscire dal
campo, nel settembre 1939, furono quattro toscani arruolatisi nell’esercito
francese allo scoppio delle ostilità (fra loro, il lucchese Vittorio
Marcucci nella Legione straniera, da cui si fece in breve riformare),
mentre durante lo stesso anno alcuni miliziani vennero trasferiti nel
campo di Vernet con provvedimenti disciplinari, forse proprio a causa
del rifiuto espresso all’arruolamento (Renato Bertolini di Fivizzano
e Oliviero Bonatti di Figline nell’ottobre 1939). La differente
resistenza fisica e morale degli uomini, infatti, influiva sulla capacità
di rifiutare le possibilità di uscita dal campo offerte dall’autorità
francese: un secondo gruppo consistente di 16 toscani, ad esempio, forse
provato dal lungo e freddo inverno gursiano, lasciò il campo
nella primavera del 1940, attraverso la formula dell’arruolamento
nelle Compagnies de Travailleurs étrangers,22
mentre nel giugno dello stesso anno il primo volontario toscano accettò
di essere rimpatriato in Italia… Non mancarono le evasioni, probabilmente
sottostimate per la carenza di informazioni pervenuteci (in circa una
quindicina di casi, in cui i volontari risultano aver lasciato il campo
in data imprecisata e con destinazione ignota, la fuga dal campo sembra
l’ipotesi più attendibile, pur se non comprovata), né
le pur rare liberazioni, come quella di Nello Boscagli di Sinalunga
che secondo alcune fonti sarebbe stato rilasciato su richiesta dei familiari
residenti nel nizzardo, che si erano impegnati a mantenerlo. Vi sono,
infine, gli spostamenti verso altri campi, nel 1940 per lo più
Vernet, poi a partire dal 1941 anche Mont Louis e Argelès (alla
metà del 1941 risultano trasferiti nel primo 5 toscani e nel
secondo 8).
Per quanto riguarda il Vernet, in particolare, occorre ricordare che,
in seguito all’applicazione della legislazione anticomunista varata
nel settembre 1939 (e completata dal decreto Daladier del 18 novembre
1939 sugli individui sospetti e pericolosi dal punto di vista nazionale),
il campo divenne un campo disciplinare, definito a carattere “repressivo”,
dove inviare gli stranieri sospetti, gli estremisti o gli individui
pericolosi per l’ordine pubblico o per l’interesse nazionale,23
suddivisi in tre settori separati: il “quartier A” raggruppava
coloro che erano stati internati per motivi di diritto comune (documenti
falsi, mancanza di carta d’identità) o che erano stati
condannati; il “quartier B” conteneva invece gli estremisti
pericolosi, comunisti o anarchici; nel “quartier C”, infine,
si trovavano tutti gli altri, cioè i sospetti, tutti coloro di
cui non si conosceva bene il dossier personale, ma che erano sospettati
di essere degli estremisti (e fra questi, ovviamente, in primo luogo
gli ex volontari delle Brigate Internazionali trasferiti da Gurs).24
Fra i toscani, 40 furono certamente internati nel “quartier B”
(prevalentemente nelle baracche n. 7, 9, 20 e 22) e 35 nel “quartier
C” (baracche n. 35, 36, 37 e 48), mentre solo in 8 casi dei volontari
toscani furono aggregati al “quartier A” per i condannati
di diritto comune.
In particolare, attraverso i documenti dell’Archive departementale
de l’Ariège, si possono individuare due consistenti trasferimenti
di italiani da Gurs verso il Vernet, in cui risultano compresi anche
quasi tutti i toscani rimasti nel campo: il 19 maggio 1940 fu il turno
di ben otto volontari (Gastone Cinelli, Giordano Bruno Giachi, Pietro
Lari, Vasco Matteoli, Galliano Panicucci, Dino Rabuzzi, Siro Rosi e
Alessandro Sinigaglia),25 mentre il successivo 5
giugno la lista di trasferimento ne comprendeva altri dieci (Vittorio
Bardini, Renato Bartolini, Ugo Cardenti, Mario Ceccarini, Giulio Lisi,
Bruno Rossetti, Giorgio Rossi, Dino Saccenti, Egidio Seghi e Giovanni
Soldaini).26 In totale, quindi, gli internati toscani
del Vernet provenienti dal campo di Gurs erano in numero di 23. Inoltre,
a seguito della riorganizzazione del sistema dei campi, su Vernet erano
confluiti dal 1940 in poi ex volontari da molti altri campi francesi
e, in particolare, erano stati trasferiti in tutto altri 19 toscani:
da Argelès il 29/4/1941 era partito un convoglio con Armando
Gualtieri, Giovanni Giugni e probabilmente Lelio Giannini, mentre lo
stesso giorno da Mont Louis un altro o forse lo stesso trasporto aveva
riguardato ben sette toscani (Oberdan Chiesa, Giuseppe Franci, Aladino
Frangini, Giuseppe Iacopini, Giovanni Martinucci, Mosè Mazzierli,
Orlando Storai); da Saint Cyprien, proveniva in data imprecisata Amilcare
Balloni, mentre da Rieucros, erano arrivati, già nell’ottobre
1939, Nello Montanari e Liberale Tonelli (dallo stesso campo Elivio
Prosperi era giunto a Vernet solo nel marzo 1944); infine, trasferiti
da Saint Sulpice la Pointe, giunsero Angelo Grassi nel settembre 1941
e Francesco Fausto Nitti nel luglio 1943 e da Brebant, Armando Pasqualetti
nel maggio 1941 e Ideale Guelfi nel marzo 1942.
I restanti arrivi si legavano ai numerosi fermi effettuati sul territorio
francese: talvolta veri e propri rastrellamenti, come nel caso degli
arresti dello stadio Roland Garros di Parigi, da cui arrivarono a Vernet,
in momenti diversi, Guglielmo Bertini e Silvio Sardi (noto come Raphael
Chantelli, quest’ultimo sarà l’anima del gruppo anarchico
italiano del Vernet),27 in altri casi arresti sporadici,
magari semplicemente determinati da un casuale controllo dei documenti,
che portavano i sospetti, e fra questi gli ex volontari, nelle locali
prigioni e da lì attraverso convogli programmati, direttamente
al settore C del campo (un esempio in tal senso è quello dei
tre toscani imprigionati nelle carceri del Frejus nel dipartimento del
Var che vennero uniti ai quattro provenienti dalla prigione di Sainte
Catherine di Tolone nel convoglio del 28/5/1940 per Vernet). In particolare,
l’arrivo degli italiani al campo si incentivò a partire
dal giugno del 1940, quando, secondo Peschanski, in brevissimo tempo
ben 8.500 italiani vennero internati a seguito della dichiarazione di
guerra di Mussolini del 10 giugno.28
Per gli italiani, l’esperienza dei campi francesi, in ogni caso,
si concluse quasi sempre con il campo di Vernet. In effetti, con la
resa francese e la stipulazione della convenzione d’armistizio
franco-italiana, era stato stabilito che tutti i prigionieri di guerra
e i civili italiani internati fossero immediatamente liberati e rimessi
alle autorità militari italiane.29 Dato che
inizialmente gli internati potevano scegliere liberamente se essere
consegnati alle autorità italiane (e visto che i rimpatri rimanevano
scarsi),30 nell’estate del 1940 una Commissione
di Armistizio visitò i campi al fine di individuare gli italiani
e convincerli a firmare per il rientro in Italia. Nel luglio, però,
l’opera di convincimento della Commissione e le pressioni dei
responsabili del campo erano riuscite a far partire dal campo di Vernet
per l’Italia soltanto alcuni internati, e fra questi anche cinque
toscani (Amerigo Borghini, Lanciotto Corsi, Casimiro Malachina, Ferrruccio
Mazzino Fedi, Antonio Cabrelli); nel dicembre 1940, quindi, una seconda
delegazione, guidata dal Barone Confalonieri,31
tornò al Vernet, dove si trovavano gli ultimi cinquecento italiani
detenuti, al fine di sollecitare le procedure di rimpatrio volontario.32
Dalle schede personali dei volontari toscani nell’archivio del
Vernet, si evince come la Commissione operasse attraverso lusinghe e
favori, agevolando gli italiani propensi a tornare con l’invio
di denaro o il miglioramento delle condizioni nel campo (ad esempio,
nel 1942, prima della partenza per l’Italia, Aladino Frangini,
Liberale Tonelli e Armando Gualtieri ottennero tutti dalla Commissione
un piccolo “soccorso finanziario” di 50 o 100 franchi);33
in alcuni casi, inoltre, la Commissione cercava di ottenere per i volontari
la concessione di particolari permessi, come nel caso di Romualdo Del
Papa, in favore del quale il conte Gloria, delegato della Commissione
rimpatri di Tolone, intervenne perché potesse recarsi in quella
città al fine di contrarre matrimonio e regolarizzare la posizione
della sua famiglia prima del rientro in Italia;34
o come nel caso del cognato di Del Papa, “Angelo” Onofrio
Lodovici, che, dopo aver espressamente rifiutato il rimpatrio, venne
blandito dalla Commissione con la promessa di un permesso con cui recarsi
a Tolosa da uno specialista per l'impianto di un occhio di vetro (infatti,
avendo perso l’occhio destro durante la guerra di Spagna, Lodovici
rischiava a questo punto di perdere la vista per la ferita trascurata).35
Nonostante questi accorgimenti, però, i rimpatri rimasero episodici
fino al febbraio 1941, quando, infine, la Francia si impegnò
a consegnare tutti gli italiani e l’amministrazione del Vernet
stilò le liste di partenza, con i nomi degli internati da condurre
sotto scorta alla frontiera per essere consegnati alle autorità
italiane:36 tra l’aprile e il maggio 1941
lasciarono il campo ben 11 toscani, mentre nel settembre successivo
partirono in 17, raggruppati in convogli come quello del 23 settembre
1941, costituito da Vittorio Bardini, Francesco Bartolini, Pietro Borghi,
Oberdan Chiesa, Giuseppe Franci, Giuseppe Iacopini, Romeo Landini, Libero
Mariotti, Giovanni Martinucci, Mosè Mazzierli, Bruno Monciatti,
Nello Montanari, Galliano Panicucci. I rimpatri forzati proseguirono
così a pieno ritmo: per tutto il 1942 e nei primi mesi del 1943,
dal campo vennero condotti a Mentone quasi tutti gli italiani rimasti
e almeno altri 19 toscani. Alcuni detenuti, però, approfittavano
della scarsa sorveglianza durante i trasferimenti alla frontiera per
evadere e darsi alla macchia: è questo il caso, per i toscani,
di Anchise Carli e Gino Dei, fuggiti dal trasporto per Mentone del 18
luglio 1943, riarrestati nella zona del confine dopo pochi giorni, quindi
nuovamente rinchiusi al Vernet e, da lì, deportati col “train
fantôme” del 9 agosto 1944 a Dachau, insieme con Vittorio
Marcucci; ugualmente deportati furono Renato Bertolini ed Elivio Prosperi,
entrambi a Buchenwald, mentre più fortunati furono, ad esempio,
il grossetano Siro Rosi ed Egidio Seghi che, anch’essi evasi dal
campo, riuscirono a raggiungere le formazioni della Resistenza francese.
(Ilaria Cansella)
Note
- Cfr. Aldo Morandi, In nome della libertà.
Diario della guerra di Spagna 1936-1939, a cura di Pietro Ramella,
Mursia, Milano, 2002.
- Aldo Morandi, In nome della libertà, cit.,
p. 222.
- Idem, p. 233.
- “Situazione politica del campo nel corso
dei primi giorni”, n.d. manoscritto, 16 pagine, CRCEDHC 545/6/469a,
citato in Denis Peschanski, La France de camps. L’internement
1938-1946, Gallimard, Paris, 2006, pp. 55 e sgg.
- Denis Peschanski, La France de camps, cit., p.
57.
- ADPO 2127W4 f. 76 “Evadés des camps”.
- Gino Cerrito, Gli anarchici nella Resistenza apuana,
Maria Pacini Fazzi, Lucca, 1984, p. 34.
- Denis Peschanski, La France de camps, cit., p.
53.
- ADPO 31W274 nota del 1/5/1939.
- Cfr. “Rapport du Commissaire spécial
du camp au contrôleur général de la Sûreté
Nationale” del 7/4/1939, conservato presso gli Archives Nationales,
Centre des Archives Contemporaines, in Archives restituées
par la Russie (fond russe), Préfecture des départements
20000414 art. 31 (citato in Grégory Tuban, Les séquestrés
de Collioure. Un camp disciplinaire au Château royal en 1939,
Mare nostrum, Perpignan, 2003, p. 34).
- Denis Peschanski, La France de camps, cit., p.
55.
- Cfr. Ministero dell’Interno, “Copia
di un quadro di militanti libertari del gruppo Libertà o
morte (Campo d’Argelès sur Mer – Francia)”,
1939, Riservato, in ACS CPC b. 1690 f. 127015, citato in Fausto
Bucci, Rodolfo Bugiani, Simonetta Carolini, Andrea Tozzi, Gli antifascisti
grossetani nella guerra civile spagnola, La Ginestra, Follonica,
2000, pp. 231-232.
- Pietro Ramella, La Retirada. L’odissea di
500.000 repubblicani spagnoli esuli dopo la guerra civile (1939/1945),
Lampi di stampa, Milano, 2003, p. 87.
- Idem, pp. 89-90.
- Claude Laharie, Le camp de Gurs 1939-1945, un aspect
méconnu de l’histoire de Vichy, J&D, Pau, 1993,
pp. 107 e sgg.
- Denis Peschanski, La France de camps, cit., p.
59.
- Ibidem.
- Claude Laharie, Le camp de Gurs 1939-1945, p.
104 (tabella 3). Gli italiani sono uno dei gruppi nazionali più
rappresentati, insieme a polacchi, tedeschi, cecoslovacchi, austriaci,
jugoslavi: secondo Laharie, infatti, «i gruppi più
numerosi appartengono sia a stati dove la dittatura si è
installata da molti anni (dal 1922 in Italia, dal 1926 in Polonia),
sia a nazioni soffocate dal nazismo (Germania, Cecoslovacchia e
Austria). Esiste dunque un legame diretto fra la loro presenza in
Spagna, poi a Gurs, e la natura antidemocratica dei governi dei
loro paesi» (Claude Laharie, Le camp de Gurs 1939-1945, p.
105).
- “Rapporto sulla situazione organizzativa,
economica, materiale e politica del gruppo italiano del campo di
concentrazione di Gurs”, Francia, fino al 26 maggio 1939,
Artorige, manoscritto, 10 pagine, CRCEDHC 545/6/469a, citato in
Denis Peschanski, La France de camps, cit., p. 59.
- Ibidem.
- Cfr. ADPO 31W274 nota del 1/5/1939.
- Tutte queste vicende particolari, però,
si inseriscono e vanno lette in un contesto generale in forte mutamento:
con le politiche eccezionali avviate in seguito alla dichiarazione
di guerra del settembre 1939, infatti, lo Stato francese aveva modificato
radicalmente la propria politica di internamento, avviando la persecuzione
dei comunisti e cominciando al contrario a considerare i rifugiati
spagnoli come manodopera utile per l’economia di guerra, attraverso
il meccanismo delle CTE. Inizialmente, però, «gli internazionali
non sono presi in considerazione per le CTE, non perché rifiutino
questa modalità di uscita dal campo, ma perché i servizi
francesi, che non si fidano di questi uomini pericolosi, quasi tutti
reputati comunisti, non la propongono loro» (Claude Laharie,
Le camp de Gurs, 1939-1945, p. 129); così, mentre il totale
degli spagnoli si riduceva drasticamente, gli internazionali «diminuiscono
in nove mesi soltanto della metà e il loro peso proporzionale
non smette di aumentare fra la popolazione del campo: 30,2% il 1°
settembre 1939, 42,9% il 1° novembre, 54,5% il 1° dicembre,
80,8% il 1° marzo 1940 e 82,1% il 1° maggio. A questa data,
Gurs è diventato un campo quasi esclusivamente “internazionale”»
(Claude Laharie, Le camp de Gurs, 1939-1945, p. 125). E’soltanto
con la riduzione del numero degli internati spagnoli e la necessità
di svuotare il campo dai cosiddetti “indésidérables”,
allora, che anche gli ex brigatisti sono incorporati nelle CTE,
a partire dall’inizio del 1940 e poi, massicciamente, nella
primavera dello stesso anno.
- ADPO 109W227 nota del 28/9/1939.
- Cfr. Claude Del Pla, Le Camp du Vernet d’Ariège,
Edition Private, Toulouse, s.d., p. 46.
- ADPO 5W340 “Etat de miliciens internationaux
du camp de Gurs dirigés le 18 mai 1940 sur le camp du Vernet”,
nota del 17/5/1940 e « Liste des étrangers suspects
internés, arrivés au camp de Vernet le 19 mai 1940
venant de Gurs (Basses Pyrénées)”, s.d.
- ADPO 5W340 “Etat de miliciens internationaux
du camp de Gurs dirigés le 4 juin 1940 sur le camp du Vernet”,
nota del 3/6/1940 e « Liste des étrangers suspects
internés, arrivés au camp de Vernet le 5 juin 1940
venant de Gurs (Basses Pyrénées)”, s.d.
- Cfr. Claude Del Pla, Le Camp du Vernet d’Ariège,
Edition Private, Toulouse, s.d., p. 52.
- Cfr. Denis Peschanski, La France des Camps, cit.,
pp. 161-162.
- Cfr. Anne Grynberg, Anne Charaudeau, Les camps
d’internement, in Pierre Milza, Denis Peschanski, Exils
et migrations : Italiens et Espagnols en France 1938-1946,
L’Harmattan, Paris, 1994, p. 153.
- Ad esempio, nell’aprile 1940, all’interno
del “quartier B”, solo 20 internati italiani su 135
si dicevano disposti a rimpatriare (Cfr. ADEA 5W394 nota del 3/4/1940).
Fra questi, anche il toscano Lanciotti Corsi, che sarà effettivamente
rimpatriato di lì a poco.
- ADPO 31W95 nota del 12/5/1940.
- A conferma della presunta volontarietà
della scelta, rimangono i numerosissimi telegrammi, conservati negli
Archives Départeméntales de l’Ariège,
con cui il Ministero dell’Interno richiedeva ai responsabili
dei campi l’autorizzazione di ogni singolo internato al rimpatrio
(cfr., solo ad esempio, ADEA 5W228 f. 1570 Del Papa Romualdo, telegramma
del 31/7/1941).
- Cfr. ADPO 5W367.
- Cfr. ADEA 5W228 f. 1570 Del Papa Romualdo.
- Cfr. ADEA 5W295 f. 4936 Lodovici Angelo.
- Cfr. ad esempio, Ministre de l’Intérieur
– Camp du Vernet d’Ariège, “Liste des ressortissants
italiens à transferer sur Menton le 9 mai 1941”, in
ADEA 5W393.
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