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Vernet
La costruzione del campo del Vernet avvenne, a partire
dal giugno 1918, per ospitare i franchi tiratori delle truppe coloniali
senegalesi. La scelta era ricaduta sull’Ariège in considerazione
del clima temperato della regione. Negli ultimi mesi della Grande Guerra
il sito, però, venne trasformato in un campo di prigionia per
rinchiudere i soldati austriaci e i tedeschi che venivano catturati.
Prima di venire abbandonato per molti anni, nel periodo successivo alla
fine del primo conflitto mondiale il Vernet venne utilizzato per un
breve periodo anche come deposito di materiale militare dell’esercito
francese.1
Amministrativamente il campo dipendeva dalla Prefettura
di Foix e militarmente dalla 17° regione di Tolosa e distava due
chilometri dall’omonima cittadina.2
Il campo era ormai caduto in rovina (al punto che in un primo momento
le autorità della Sanità militare non vi autorizzarono
l’internamento dei profughi)3 quando, il 9
febbraio del 1939, gli uomini della 26° Divisione Durruti, composta
da dodicimila anarchici e comandata dal Colonnello Ricardo Sanz, entrarono
in Francia dal valico di Puigcerda. Il transito avvenne in corrispondenza
del ponte Llivia alla cadenza di un autocarro ogni tre secondi. Nella
Divisione Durruti, che aveva ritardato fino all’ultimo l’avanzata
dei franchisti, erano presenti anche diverse donne in uniforme e molti
feriti degli ultimi giorni.4
Nel frattempo il 6 febbraio era stata creata la “Commission
de recherche de camps de concentration et de rassemblement”, che
decise di spostare la 26° Divisione dai campi provvisori di La Tour
de Carol e di Bourg Madame al Vernet. I primi rifugiati giunsero al
campo a partire dal 10 febbraio e alla fine di questo mese 9.000 anarchici,
su 10.200 appartenenti alla divisione, erano stati trasferiti al Vernet.
Quelli che non vi arrivarono furono sistemati alla fornace di Mazères,
che distava nove chilometri dal campo, denominata “centres d’hébergement”.5
La pericolosità degli anarchici, e la conseguente
necessità di schedarli delle autorità francesi, è
dimostrata da una scrittura segreta (“confidential”) in
cui dal Ministero degli Interni si richiede al Prefetto dei Pirenei
Orientali di permettere ai funzionari ministeriali di entrare nel campo,
possibilità in un primo momento negata, in modo da poter redigere
una lista completa dei combattenti.6
Il vecchio campo era composto da venti baracche di 33 metri per 6 di
cui sette erano riservati alle truppe e ai servizi e si estendeva su
circa cinquanta ettari.7
L’arrivo massiccio, ben oltre la capienza massima
dei fabbricati, degli spagnoli dalla costa mediterranea e da Gurs, il
freddo (l’inverno tra il 1938 e il 1939 fu particolarmente rigido,
con temperature che arrivarono fino a quindici gradi sotto zero) e le
precarie condizioni igieniche resero particolarmente difficili le condizioni
di vita nel campo in questi primi mesi. Inoltre l’alimentazione
era scarsa e non comprendeva mai carne, frutta e piatti contenenti zucchero.
Durante l’intera giornata venivano serviti una tazza di tè
o di caffè, una pagnotta di pane secco da un chilo da dividere
tra sei persone e una zuppa molto povera che, però, aveva almeno
il vantaggio di essere calda. Tra marzo e settembre morirono di fame
o freddo ben 57 internati. La custodia del campo era assicurata dalla
Garde Mobile e dalle truppe coloniali senegalesi e malgasce. Alcune
organizzazioni umanitarie e i partiti di sinistra provarono ad alleviare,
almeno parzialmente, le condizioni degli internati provvedendo a un
sostegno materiale (viveri, vestiti e denaro) e morale (invio di libri,
giornali e lettere). Alcuni centinaia di spagnoli riuscirono poi a uscire
in tempi rapidi dal campo grazie a contratti di lavoro forniti loro
da militanti di sinistra. Le condizioni di vita nel campo migliorarono
momentaneamente solo nel mese di agosto quando, a seguito della visita
del Generale Maurice Gamelin, capo di Stato Maggiore dell’esercito
francese, l’alimentazione divenne un po’ più varia
e venne costruita un’infermeria.8
Per alleviare le sofferenze degli internati uscirono
anche su alcuni quotidiani dell’Ariège appelli ai commercianti
per la donazione al campo di mille paia di pantaloni e di altrettante
paia di scarpe.9
In seguito la situazione ritornò impossibile
da sopportare. La fame, la brutalità delle guardie e la minaccia
della deportazione in Germania o in Africa del Nord arrivarono a provocare
il 26 febbraio 1941 una clamorosa rivolta. Gli internati si rifiutarono
di lavorare, di mangiare e neutralizzarono le guardie. Nella repressione
della protesta vennero arrestate 102 persone. Alcune di queste furono
rinchiuse nelle carceri francesi, altre consegnate a Mussolini e a Hitler,
altre ancora si ritrovarono nei campi dell’Africa del Nord. Dopo
questo episodio l’organizzazione del campo venne rinnovata e il
comando passò al Colonnello Juan de Pablo.10
A partire dalla fine della primavera del 1939, il campo iniziò
a essere progressivamente svuotato, oltre che con le numerose evasioni,
con i contratti di impiego forniti agli internati dai francesi del luogo
e con la pratica di inquadrare gli elementi più pericolosi e
quelli pregiudicati in vere e proprie compagnie di lavoro, occupate
all’esterno del campo nell’agricoltura, nelle fabbriche,
nella costruzione di dighe o nelle miniere. Altri internati furono invece
arruolati nelle CTE o vennero inviati in altri campi. Alla vigilia dello
scoppio della seconda guerra mondiale nel campo non restavano nel campo
che circa duecento internati.11
Da ottobre la situazione mutò radicalmente e il Vernet divenne
un campo disciplinare affiancando e poi sostituendo il castello di Collioure.
Cominciarono così a giungere treni che trasportavano stranieri
“pericolosi per l’ordine pubblico”, “per l’interesse
nazionale” e “estremisti”.12
Questo mutamento è testimoniato da un telegramma,
inviato dal Ministro degli Interni ai Prefetti in data 28 settembre
1939, in cui si affermava: «Vi informo che il campo del Vernet
apre a partire da lunedì 2 ottobre. In virtù della precedente
comunicazione vogliate dirigere su questo centro gli stranieri sospetti
o pericolosi del vostro dipartimento, dopo esservi messi in contatto
con il Prefetto dell’Ariège».13
Il numero degli internati iniziò in questo modo a crescere notevolmente
passando dalle 915 persone del 13 ottobre 1939 alle 1.725 del primo
dicembre dello stesso anno, fino alle 2.000 del febbraio del 1940.14
Nel settembre 1940, in base all’informativa del
Ministero degli Interni al Prefetto dei Pirenei orientali del 24 dello
stesso mese, “alloggiavano” al Vernet 3.500 persone.15
L’uso del campo divenne a partire da questo momento
direttamente collegato alla guerra appena scoppiata. Lo scacchiere geopolitico
influenzava infatti in modo decisivo la provenienza nazionale e l’estrazione
politica degli internati. Il campo assunse in questo modo un carattere
chiaramente repressivo. Dopo la dichiarazione di guerra francese alla
Germania numerosi tedeschi vennero internati nel campo. Stessa sorte,
in virtù del patto Molotov-Ribbentrop toccò a molti comunisti.16
L’arrivo degli italiani al campo iniziò,
invece, nel giugno del 1940, a seguito dell’entrata in guerra
contro la Francia di Mussolini. La situazione era complessa in quanto
in Francia si contavano 700.000 italiani che, evidentemente, non potevano
essere tutti internati. La procedura fu comunque iniziata. I numeri
testimoniano questo passaggio qualitativo e quantitativo degli internati:
nell’aprile del 1940 arrivarono 150 persone, nel maggio 1.050
(austriaci e tedeschi), in giugno 1.800 (essenzialmente italiani).17
Vennero inoltre internati coloro che con la generica
accusa di essere nemici nazionali venivano considerati la “quinta
colonna”, gli ebrei stranieri a partire dall’autunno 1940,
i russi bianchi nel giugno 1941, confusi per qualche giorno con i bolscevichi.
Agli internati politicizzati si aggiungevano i delinquenti comuni.18
Una circolare del Ministero dell’Interno di Vichy del 17 gennaio
1941 evidenzia la particolare durezza del Vernet anche in confronto
con gli altri campi francesi: «Non è il caso di mantenere
nel campo di Gurs, d’Argelès, di Rivesaltes o di Milles,
una disciplina rigida quanto al Vernet dove si trovano condannati ed
estremisti».19
Pierre Milza e Denis Peshanski nel volume da loro curato
affermano che gli internati «devono tutti sopportare condizioni
estremamente difficili, sia sul piano strettamente materiale sia nell’ambito
repressivo, che si esercita con particolare brutalità: in caso
di “mauvaise volonté”, le punizioni corporali non
sono rare, nel campo disciplinare creato al fine di isolare completamente
gli elementi stranieri pericolosi».20
Le infrazioni alla rigida disciplina del campo erano
punite con dei soggiorni forzati nel cosiddetto “hipòdromo”,
recinto di pochi metri quadrati delimitato con filo spinato e completamente
esposto alle intemperie. Il nome nasceva dalle corse in tondo a cui
i prigionieri erano costretti a ricorrere nel tentativo di scaldarsi.
Altra punizione era il “picadero”, un recinto in cui erano
obbligati a stare in piedi con le mani legate dietro la schiena. Durante
le punizioni, i prigionieri erano solitamente dileggiati dai gendarmi
ed era vietata l’introduzione di cibo, sigarette e coperte.21
Il campo del Vernet era suddiviso essenzialmente in tre settori separati.
Il “quartier A” (composto da otto baracche) raggruppava
coloro che erano stati internati per motivi di diritto comune (documenti
falsi, assenza di carta d’identità) o che erano stati condannati.
Il “quartier B” (formato da diciannove baracche) conteneva
invece gli estremisti pericolosi, comunisti o anarchici. Nel “quartier
C” (diciotto baracche) si trovavano tutti gli altri, dai sospetti
agli ebrei fino agli ex volontari delle Brigate Internazionali. La suddivisione
non era tuttavia rigida. Infatti, ad esempio, poteva capitare che alcuni
partigiani venissero arrestati per reati comuni e rinchiusi nel primo
settore o che degli ebrei arrivassero al campo non per motivi razziali,
ma a causa di falsa attestazione di identità (inseriti a loro
volta nel “quartier A”). Infine il “quartier T”
(costituito da tre baracche) conteneva gli internati “dignes d’intéret”
in transito.22
Proprio gli spostamenti all’interno dei settori
o verso altre destinazioni creavano grandi preoccupazioni tra gli internati.
Ecco un testo, scritto il 20 ottobre del 1941, in cui il capo del campo
descriveva al Prefetto de l’Ariège alcuni spostamenti e
le reazioni che questi avevano provocato: «la partenza di 7 tedeschi
verso una destinazione speciale – lo spostamento di 7 combattenti
dal “quartier T” al “quartier B”[…], la
partenza di 7 tedeschi noti come politicamente compromessi ha provocato
un vivo sgomento in tutto il campo. È interessante rilevare le
differenti voci che hanno circolato al riguardo: “I dossier di
tutti i rifugiati tedeschi sono rimessi alle autorità tedesche”.
“Ogni settimana un certo numero di internati saranno consegnati
alle autorità tedesche”. “I tedeschi prenderanno
il comando di tutti i campi di Francia, ecc…”. Lo spavento
fu tale che al “quartier C” molti combattenti tedeschi hanno
dichiarato di preferire un trasferimento in Africa a un’estradizione.
Inutile aggiungere che in seguito a questa partenza, ogni attività
politica manifesta è per il momento scomparsa […]. Il trasferimento
di comunisti dal “quartier T” al “quartier B”
fu allo stesso modo vivacemente commentato negli ambienti dei combattenti
e soprattutto ha provocato una certa sorpresa fra i gruppi del “quartier
C” che credevano che la cellula del “quartier T” fosse
passata inosservata».23
Il Vernet era specializzato nell’“ospitare” gli stranieri
mentre i francesi vi “alloggiavano” per errore e donne e
bambini ebrei, internati a due riprese nel 1942 e nel 1944, erano in
transito verso altre destinazioni. Al campo troviamo uomini di 58 nazionalità
e provenienti da cinque continenti.24
La più varia è anche l’estrazione
sociale e culturale e le biografie sono molto differenti tra loro. Così
vennero internati: «il volontario delle Brigate internazionali,
un meccanico messicano di San Luis Potosì, affianca il brigadista
norvegese, sanmarinese o albanese, il commerciante cinese rastrellato
al porto di Marsiglia si incontra con l’ebreo palestinese, l’ufficiale
greco, il principe georgiano, il poeta tedesco o lo studente estone».25
Anche dal punto di vista politico troviamo nel campo
rappresentate tutte le tendenze. Addirittura sono stati internati alcuni
fascisti e alcuni nazisti.26
Naturalmente la maggior parte degli internati condividevano
la fede antifascista e questo fece del Vernet uno dei centri francesi
e europei della Resistenza al nazifascismo. Troviamo così anarchici,
comunisti, socialisti e trotskisti.
L’attività dei diversi gruppi libertari si suddivide in
due periodi (1939 il primo, 1940-1943 il secondo) e in due principali
gruppi nazionali, gli spagnoli, in maggioranza catalani, e gli italiani.
La prima parte è quella in cui vengono internati gli anarchici
della 26° divisione Durruti. Tra loro anche il capo Ricardo Sanz.
Nella seconda fase l’influenza anarchica nel campo diminuisce
e si riformano le varie correnti antagoniste della galassia libertaria
spagnola. Oltre a Sanz nel campo sono presenti altre personalità
come Joseph Juan Domenench, già Ministro dell’Approvvigionamento,
poi capo del Servizio Pubblico della Generalidad della Catalogna e Segretario
della Confederación Nacional del Trabajo (CNT), Mateo Baruta
Vila, Sottosegretario alla Sanità Pubblica e all’Assistenza
Sociale e il luogotenenente Miguel Garcia Vivancios, vecchio comandante
di Puigcerda. Tra gli italiani i più noti erano il senese Silvio
Sardi, conosciuto al campo con il nome di battaglia Raphael Chantelli,
e Giorgio Braccialarghe. I libertari italiani organizzarono anche la
pubblicazione della rivista «Res Nova».27
Il movimento libertario al Vernet era sostanzialmente
suddiviso in due correnti che riproducevano le dinamiche che avevano
visto gli anarchici in Spagna da una parte schierati per governare con
le altre forze repubblicane, i “partecipazionisti”, e dall’altra
gli irriducibili della totale autonomia, i “rivoluzionari”.
In questo modo nell’analisi della seconda guerra mondiale i libertari
si dividevano tra coloro che rifiutavano di partecipare al conflitto
e gli altri, gli “amici di Londra” e i militanti del Partido
Obrero del Trabajo (POT), che prima si impegneranno nella Resistenza.28
L’internamento di un gran numero di dirigenti comunisti europei
e di una buona parte dei dirigenti delle Brigate Internazionali fecero
del Vernet uno dei principali centri dopo Mosca. I tedeschi riorganizzarono
nel campo il loro partito (DKP) Tra le altre la personalità di
spicco era sicuramente Franz Dahlem, deputato, numero due del partito
e responsabile dei tedeschi nelle Brigate Internazionali. In seguito
venne deportato a Mauthausen. Nel dopoguerra diverrà poi Viceministro
dell’Istruzione della Germania dell’est. Nutrito era anche
il gruppo degli spagnoli. Tra i più noti troviamo Francisco Anton,
membro dell’ufficio politico del PCE e commissario generale dell’esercito
Repubblicano. Particolarmente rilevante era anche la presenza degli
italiani. Furono internati al Vernet Luigi Longo (conosciuto in Spagna
come Gallo), ispettore generale delle Brigate Interanzionali e futuro
Segretario del PCI, Eugenio Reale, futuro sindaco di Napoli, Mario Montagnana,
Giuliano Pajetta e Felice Platone. Tra gli altri, figure particolarmente
significative erano l’ungherese Otto Flatter, responsabile delle
Brigate Internazionali che diverrà Primo Ministro, il rumeno
Mihail Florescu, futuro ministro, il cecoslovacco Joseph Pavel, ultimo
comandante in capo delle Brigate Internazionali, poi anche lui ministro,
lo jugoslavo Ljoubomir Ilich, comandante delle Brigate, poi Generale.
I portavoce, a seconda dei casi, erano Dahlem, Ilich e Longo.29
I comunisti nel campo erano raggruppati per nazionalità
e affinità e suddivisi in cellule. Il regolamento interno stabiliva
che tutti dovevano consegnare un terzo di quello che ricevevano, sia
denaro che viveri, al collettivo generale che provvedeva alla redistribuzione.
In questo modo arrivavano a essere assicurati anche due pasti in più
a settimana. Collettiva era anche l’attività semi-illegale
di lettura dei giornali e le notizie più importanti venivano
ricopiate in degli appositi quaderni che circolavano all’interno
dei vari gruppi.30
Molto stretto era il controllo da parte delle autorità francesi
sull’attività politica dentro al campo. Numerosi sono i
rapporti del Capo del campo al Prefetto dell’Ariège e al
Ministro degli Interni. Con queste note avveniva un costante aggiornamento
sulla propaganda, sull’organizzazione, sui tentativi di evasione,
sulle varie correnti, sulle strategie e sui dissidi interni e tra i
vari gruppi anarchici e comunisti. I personaggi più noti e considerati
più pericolosi, tra gli italiani sicuramente Longo, venivano
tenuti costantemente sotto osservazione.31
Diversi comunisti, ad esempio Reale tra gli italiani,
subirono durante il periodo di internamento interrogatori e processi.32
Oltre ai politici, molto numerosa e qualificata era la presenza al Vernet
di intellettuali e artisti conosciuti a livello mondiale che generarono
una certa vivacità intellettuale nel campo. Per la maggior parte
comunisti e socialisti, troviamo però anche numerose personalità
semplicemente antifasciste. Malgrado le drammatiche condizioni di vita
riuscirono comunque a scrivere, a disegnare, a comporre e a scolpire.
Al Vernet troviamo così lo scrittore tedesco Louis Emrich, deportato
e ucciso in Germania, i direttori teatrali russi Serge Mintz-Meinard
e Michel Flurscheim, il compositore polacco Félix Sztal, il pittore
russo Paul Pitoum, che perse la vita proprio nel campo, lo scultore
polacco Moise Rosemberg e l’architetto tedesco Bruno Peiser. Forse
ancora più rinomata era poi la presenza degli scrittori. Solo
per citare i più noti ricordiamo Friedrich Wolf, poeta e drammaturgo
definito dalla stampa americana “il nemico numero uno di Hitler”,
Rudolf Leonhard, presidente della Società degli scrittori tedeschi,
Max Aub, uno dei più grandi scrittori spagnoli del secolo che
di quel periodo ci ha lasciato il suo libro Dernières nouvelles
de la Guerre d’Espagne.33
Alcune pagine suggestive di Aub sul Vernet sono poi
contenute nell’opera Manuscrit du Corbeau,34
descrizione surreale e satirica dell’universo concentrazionario
del campo, delle condizioni in cui gli uomini erano costretti a viverci
e della paradossale organizzazione sociale che vi regna, visti attraverso
gli occhi di un immaginario corvo. Il corvo nota però anche la
straordinaria vivacità culturale del campo al punto che Aub arriva
a fargli affermare che: «la reclusione è la migliore condizione
umana. Per ottenere degli uomini eccellenti, li si mette generalmente
in prigione per un determinato tempo. Se gli uomini che esercitano l’autorità
non hanno fatto un soggiorno in una scuola superiore di questa specie,
sopravviene un’epoca di decadenza, che si situa verso la fine
di un ciclo; i papaveri vengono detronizzati da persone venute dalle
prigioni e dai campi di concentramento».35
Sempre al campo il celebre scrittore ungherese Arthur
Koestler dedicò uno dei suoi romanzi più importanti: La
schiuma della terra.36
Tra gli italiani l’intellettuale più noto
era Francesco Fausto Nitti, giornalista e scrittore socialista, già
comandante in Spagna della XII Brigata Garibaldi.37
Il Vernet fu anche campo di internamento per numerosi ebrei stranieri.
Mentre fino all’autunno del 1940 il motivo di internamento nel
campo era generalmente politico, successivamente le considerazioni razziali
divennero predominanti. L’arrivo massiccio degli ebrei avvenne
in corrispondenza dell’estate del 1942. L’8 agosto e il
primo settembre dello stesso anno partirono dal Vernet in direzione
Auschwitz i primi treni. Le partenze si sarebbero succedute fino al
19 maggio 1944. In totale gli uomini, le donne e i bambini deportati
furono 1.200. Molti furono comunque in questi mesi gli ebrei che riuscirono
a evadere prima di essere inviati nei campi di concentramento tedeschi.38
Il 10 giugno 1944 i tedeschi presero il controllo del campo per prepararne
l’evacuazione generale. Venti giorni dopo 403 detenuti del Venet,
quasi la totalità degli internati rimasti al campo (esclusi i
malati e quelli troppo giovani per partire), per la maggior parte partigiani
stranieri, vennero trasportati in camion o in autobus alla caserma Cafarelli
nel centro di Tolosa. A questi, il 2 luglio, si aggiunsero, presso la
stazione di Raynal altri prigionieri politici, per la maggior parte
provenienti dalla prigione di Saint-Michel e dal campo di Noè.
Lo stesso avvenne a Bordeaux. Le persone deportate erano in totale 656,
di cui 64 donne. Gli italiani erano 65 (la terza nazionalità
più numerosa dopo gli spagnoli e i francesi). Il treno, sinistramente
denominato in seguito “Train Fantôme”, lasciò
Tolosa il 3 luglio in direzione Dachau.39
Durante il drammatico viaggio, durato otto settimane
e con i prigionieri fatti viaggiare nel vagone solitamente utilizzato
per il bestiame, in molti riuscirono a fuggire scampando in questo modo
a una pressoché certa morte. Tra questi c’era anche Nitti,
che riuscì a evadere nella zona di Haute Marne e che del treno
fantasma ci ha lasciato una sua ricostruzione letteraria in Chevaux
8 hommes 70. Le train fantôme, 3 juillet 1944.40
Ecco l’avventuroso racconto della fuga di Nitti
avvenuta creando un’apertura all’interno del vagone. «L’idea
dell’evasione mi aveva preso dall’inizio, come a molti altri
miei compagni; avevo compreso che era l’unico modo di salvarmi.
In molte occasioni e soprattutto durante i trasferimenti, avrei potuto
realizzare il mio piano, ma ogni volta, a causa di qualche imprevisto,
dovevo rinunciare. Ora dovevo agire a ogni costo. Il treno si stava
avvicinando alla frontiera tedesca [...] Verso le nove e mezzo, vidi
passare la stazione di Lecourt, sulla linea di Neufchâteau. Poi
cominciai a discernere le ombre dei miei compagni […] Compresi
che l’operazione era cominciata; vidi che le assi rimosse facevano
penetrare una flebile luce attorno a noi. Il mio turno era arrivato.
Le braccia dei miei compagni mi sostennero, mi abbassai e mi ritrovai
tra le ruote in un fracasso assordante. Meccanicamente, eseguì
i movimenti che già molte volte avevo ripetuto mentalmente. Sentì
uno choc alle ginocchia e mi trovai tutto d’un colpo steso in
mezzo alle rotaie, il viso contro la terra, le braccia attaccate al
corpo [...] Sapevo che diciassette vagoni dovevano passare su di me.
Il tempo mi sembrava lungo. Guardai verso la parte posteriore del treno
e credetti di vedere che dovevano ancora passare pochissimi vagoni.
In effetti, qualche istante dopo, l’aria fresca della campagna
soffiava sul mio volto».41
Il campo cessò l’attività alla metà di agosto
e venne liberato il 23 dello stesso mese. Infine a settembre venne utilizzato
per i soldati tedeschi presi prigionieri. In totale le persone che vi
avevano “soggiornato” erano 40.000. Non è possibile
stimare ufficialmente il numero di coloro che persero la vita nel campo.
L’unica fonte è il cimitero composto da 142 tombe corrispondenti
ad altrettanti decessi.42
Oggi la memoria del campo è conservata, grazie al lavoro dell’Amicale
des anciens internés du camp de Vernet d’Ariège,
dal museo del Comune di Vernet, che contiene foto, disegni, libri, documenti
ufficiali, articoli di giornali dell’epoca e un plastico che ricostruisce
la struttura del campo. Nel luogo dove era situato oggi rimane solamente
il piccolo cimitero al cui ingresso si legge “Alla memoria dei
combattenti antifascisti conosciuti e sconosciuti morti per la libertà
dei popoli”, una targa che ricorda gli ebrei deportati e un’altra
dedicata “Alla memoria dei resistenti europei internati al campo
del Vernet d’Ariège dal 1939 al 1944”. Infine presso
la stazione della piccola cittadina è conservato uno dei vagoni
dei treni che portavano gli internati in Germania. Con un decreto del
1992, il Presidente della Repubblica François Mitterand ha proclamato
il campo “Memoriale nazionale dei campi d’internamento in
Francia”.
(Francesco Cecchetti)
Note
-
Cfr. Claude Del Pla, Le Camp
du Vernet d’Ariège, Edition Private, Toulouse, p. 43;
Serge Barba, De la frontière aux Barbélés.
Les chemins de la Retirada 1939, Trabucaire, Canet, 2009, p. 210;
Progreso Marin, Exil: témoignages sur la guerre d’Espagne,
les camps et la résistance au franquisme, Loubatieres, Portet-Sur-Garonne
Cedex, 2005, p. 128; Jean-Claude Pruja, De la République
aux camps de l’exil. La guerre d’Espagne. Réfugiés
dans les Pyrénées et sur la côte catalane…,
Editions Alan Sutton, Saint-Cyr-sur-Loire Cedex, 2009, p. 218.
-
Cfr. Pietro Ramella, La Retirada.
L’odissea di 500000 repubblicani spagnoli esuli dopo la guerra
civile (1939/1945), Lampi di stampa, Milano, 2003, p. 96.
-
Cfr. Ibidem.
-
Cfr. Idem, p. 48.
-
Cfr. Claude Del Pla, Le Camp
du Vernet d’Ariège, cit., p. 43; Serge Barba, De la
frontière aux Barbélés, cit., p. 211; Progreso
Marin, Exil…, cit., p. 128; Jean-Claude Pruja, De la République
aux camps de l’exil, cit., pp. 218-220; Pietro Ramella, La
Retirada, cit., p. 97.
-
ADPO 31W274, nota del 10/3/1939.
«Il Controlleur Général Sallet mi ha appena
segnalato che gli ispettori che aveva distaccato a Vernet d’Ariège
(Ariège), per l’identificazione dei rifugiati della
Divisione Sanz-Durruti, non hanno potuto svolgere il loro incarico,
perché tali ex combattenti erano confusi con altri e il Comandante
della formazione di accoglienza ha dichiarato che, durante il periodo
di raggruppamento dei rifugiati (una decina di giorni), era proibito
penetrare in questo campo. Vi sarei grato di voler segnalare alle
Autorità militari responsabili la necessità che si
impone di autorizzare i funzionari della mia amministrazione a entrare
nel campo dei rifugiati spagnoli, in ogni momento, per l’esecuzione
degli incarichi che possono essere loro assegnati. Al riguardo,
vi sarei grato di volermi far pervenire, appena possibile, la lista
completa degli ex combattenti della Divisione Sanz-Durruti».
-
Cfr. Denis Peschanski, La France
des Camps. L’internement 1938-1946, Paris, Gallimard, 2002,
p. 99. Secondo Del Pla e Ramella le baracche del campo sono invece
19.
-
Cfr. Claude Del Pla, Le Camp
du Vernet d’Ariège, cit., p. 44; Progreso Marin, Exil…,
cit., p. 128.
-
ADEA 5W135 “Note à
la presse – Appel d’offres pour fournitures pour le
camp du Vernet d’Ariège” s.d.
-
Cfr. Claude Del Pla, Le Camp
du Vernet d’Ariège, cit., pp. 56-57. Secondo il già
citato testo di Serge Barba la protesta si sarebbe sviluppata tra
il 22 e il 23 febbraio.
-
Cfr. Claude Del Pla, Le Camp
du Vernet d’Ariège, cit., p. 44.
-
Cfr. Ibidem. Cfr. anche Grégory
Tuban, Les séquestrés de Collioure. Un camp disciplinaire
au Château royal en 1939, Mare nostrum, Perpignan, 2003, p.
114.
-
ADPO 109W227 nota del 28/9/1939.
-
Cfr. Anne Grynberg, Anne Charaudeau,
Les camps d’internement, in Exils et migration. Italiens
et Espagnols en France 1938-1946, a cura di Pierre Milza e Denis
Peshanski, L’Harmattan, Paris, 1994, p. 150.
-
ADPO 109W227 nota del 24/10/1940.
Secondo Progreso Marin, tuttavia, nell’agosto erano già
presenti 5.000 effettivi (cfr. Progreso Marin, Exil…, cit.,
p. 128).
-
Claude Del Pla, Le Camp du Vernet
d’Ariège, cit., p. 45.
-
Cfr. Denis Peschanski, La France
des Camps, cit., pp. 152-153.
-
Cfr. Claude Del Pla, Le Camp
du Vernet d’Ariège, cit., p. 45.
-
Ibidem
-
Exils et migration…, cit.,
p. 150.
-
Cfr. Pietro Ramella, La Retirada,
cit., pp. 65, 99; René Grando, Jacques Queralt, Xavier Febrés,
Camps du mépris, des chemins de l’exil à ceux
de la résistance 1939-1945, Trabucaire, Canet, 2004, pp.
124-125.
-
ADPO 109W227 nota del 2/10/1939.
Cfr. anche Claude Del Pla, Le Camp du Vernet d’Ariège,
cit., p. 46; Anne Grynberg, Anne Charaudeau, Les camps d’internement,
cit., p. 150; Progreso Marin, Exil…, cit., p. 128.
-
ADEA, 5W373 nota del 20/10/1941.
-
Cfr. Claude Del Pla, Le Camp
du Vernet d’Ariège, cit., p. 47. Marin nel suo già
citato testo parla invece di 60 nazionalità.
-
Ibidem.
-
Cfr. Claude Del Pla, Le Camp
du Vernet d’Ariège, cit., p. 47; Progreso Marin, Exil…,
cit., p. 128.
-
Cfr. Claude Del Pla, Le Camp
du Vernet d’Ariège, cit., pp. 51-52.
-
Cfr. Denis Peschanski, La France
des Camps, cit., p. 305.
-
Cfr. Claude Del Pla, Le Camp
du Vernet d’Ariège, cit., pp. 54-56.
-
Cfr. Denis Peschanski, La France
des Camps, cit., p. 426.
-
ADEA 5W373 f. «Activité
politique des internés».
-
Ibidem.
-
Cfr. Claude Del Pla, Le Camp
du Vernet d’Ariège, cit., pp. 49-51; Progreso Marin,
Exil…, cit., p. 130. Cfr. anche Max Aub, Dernières
nouvelles de la guerre d’Espagne, Gallimard, Paris, 1967.
-
Cfr. Max Aub, Manuscrit Corbeau,
Mare Nostrum, Perpignan, 2002.
-
Idem, p. 52.
-
Cfr. Arthur Koestler, La schiuma
della terra, Il Mulino, Bologna, 2005.
-
Claude Del Pla, Le Camp du Vernet
d’Ariège, cit., pp. 49-51; Progreso Marin, Exil…,
cit., p. 130.
-
Cfr. Claude Del Pla, Le Camp
du Vernet d’Ariège, cit., pp. 47-48; Progreso Marin,
Exil…, cit., p. 130; Serge Barba, De la frontière aux
Barbélés, cit., p. 216.
-
Cfr. Charles et Henry Farreny
Del Bosque, L’affaire Reconquista de España. 1942-1944.
Résistance espagnole dans le Sud-Ouest, Edition Espagne au
Cœur, Merignac, Aprile 2010, pp. 175-177; Fondation pour la
Mémoire de la Déportation, Livre Mémorial des
déportés de France arrêtés par mesure
de répression, Édition Tirésias, juin 2004
(http://www.bddm.org).
-
Cfr. Francesco Fausto Nitti,
Chevaux 8 Hommes 70. Le train fantôme, 3 juillet 1944, Mare
Nostrum, Perpignan, 2004.
-
Idem, pp. 99, 105-106.
-
Cfr. Pietro Ramella, La Retirada,
cit., p. 97; Progreso Marin, Exil…, cit., p. 130.
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