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Il proseguimento dell’impegno
nella Resistenza in Italia
Oggi in Spagna domani in Italia. Negli appelli
del 13 e del 14 novembre 1936 Carlo Rosselli adottò questa formula
che «divenne subito la parola d’ordine - tutt’oggi
in Italia ricordata come un momento aurorale della Resistenza armata
al fascismo - perché [… ] al di là della specifica
localizzazione essa riassumeva il significato da dare alla guerra nella
volontà di combattere il fascismo in ogni dove».1
L’avventura spagnola, quindi, assumeva per il leader di Giustizia
e Libertà una dimensione più ampia che, attraverso un
messaggio di fede che mirava a un’idealizzazione e a un’espansione
dell’impresa del volontariato, non poteva che terminare con la
lotta per la liberazione dell’Italia.2 Fu
proprio per questo che Mussolini considerò sempre Rosselli uno
dei più pericolosi antifascisti in esilio e nel giugno 1937 lo
fece uccidere, assieme al fratello Nello, da propri agenti francesi
a Bagnoles-de-l’Orne, dove Carlo si era recato per curare la gamba
ferita durante la battaglia di Monte Pelato. L’obiettivo del capo
del fascismo italiano era impedire che la controffensiva si spostasse
dalla Spagna in direzione dell’Italia.3 Rosselli
non poté, dunque, farlo, ma altri volontari italiani antifranchisti,
noti e meno noti, proseguirono, dopo l’esperienza in terra iberica,
il loro impegno contro il nazifascismo proprio tornando in Italia. Questa
fu anche la scelta di molti toscani. A costoro, che nella maggior parte
dei casi avevano alle spalle anche l’esperienza dell’esilio
in Francia prima della guerra civile spagnola, si può certamente
accostare il concetto di lunga durata di lotta al fascismo. Tra questi
Ottorino Orlandini, già combattente anche nella prima guerra
mondiale, oltre che in Spagna, che così nelle sue memorie, con
amara ironia, ricorda la sua partecipazione a ben tre conflitti bellici
in giro per l’Europa: «Le guerre sono sempre state una cosa
sporca… Le ho sempre odiate e per tre volte mi ci sono trovato
immischiato. E non perché sono stato richiamato; sono sempre
stato volontario, ingenuamente e stupidamente volontario».4
A rafforzare la volontà di lottare per la libertà in tutta
Europa contribuì probabilmente anche il periodo di internamento
che numerosi volontari trascorsero nei campi francesi dopo l’avventura
in terra iberica.
La guerra civile rappresentò una delle cornici ideali più
importanti della Resistenza italiana in cui, infatti, fu forte la memoria
dell’esperienza spagnola intesa «quale grande prova generale
del conflitto europeo, proprio sul terreno “civile” e ideologico».5
A corto di esperienza di guerriglia, i partigiani italiani erano gli
ultimi arrivati rispetto ai partigiani di altri paesi europei; in particolare
i greci e gli jugoslavi esercitavano un fascino particolare sulle prime
bande. Forte era anche, di conseguenza, il prestigio dei reduci spagnoli,
alcuni dei quali arrivavano anche da un periodo di militanza nella Resistenza
francese. Come modello da applicare anche in Italia veniva preso il
grande lavoro politico svolto in Spagna tra i primi volontari per farne
i soldati di una causa e far sì che le formazioni dei partigiani
andassero al di là di bande di franchi tiratori. I reduci da
parte loro non dimenticarono certo il periodo trascorso al di là
dei Pirenei, nella speranza che la sconfitta dell’Asse conducesse
anche alla caduta del regime franchista, e ammonivano che la rivoluzione
europea non tralasciasse la Spagna.6 Gli ex volontari
andavano comprensibilmente molto orgogliosi della loro esperienza. In
modo molto sintomatico i partigiani inquadrati nel 9° Korpus jugoslavo
cantavano:
Noi siamo giovani garibaldini
Della Spagna i reduci noi siam
Combattiamo contro i fascisti assassini
Contro chi angoscia l’umanità.7
La Resistenza italiana trasse dalla guerra di Spagna
anche i termini con cui identificare le proprie formazioni. Fu così
che, sulla scia delle Brigate Internazionali, il termine “brigata”
ebbe successo anche in Italia.8
Grazie all’esperienza nella guerra di Spagna,
per alcuni proseguita in Francia nei campi e poi in carcere o al confino
in Italia, i reduci ricoprirono spesso ruoli di comando nelle file della
Resistenza. Paolo Spriano, nel quinto volume del suo Storia del Partito
Comunista Italiano, scrive in proposito: «Il 90% dei quadri dirigenti
arriva da un tirocinio che si è compiuto a Portolongone, a Castelfranco
Emilia, Fossano, Sulmona, Perugia, Turi di Bari, Pianosa, Ponza, Ventotene,
le Tremiti, ecc., o dalla milizia dell’emigrazione. In centinaia
di casi si sono accumulate le due esperienze, con espatri e rimpatri
clandestini, con “soggiorni” in carcere resi più
brevi dalle varie amnistie e condoni del regime, e con ritorni “nelle
mani del nemico” attraverso i provvedimenti “amministrativi”
del confino. […] C’è una punta di diamante, tra loro,
come valido addestramento militare: sono i reduci della guerra di Spagna,
[…], che rastrellati in Francia dai tedeschi nel 1940-42, consegnati
alle autorità fasciste, hanno raggiunto al confino di polizia
di Ventotene i loro compagni, oppure che, riusciti a passare dal famigerato
campo del Vernet al maquis francese, traversano le Alpi in questi stessi
giorni dell’armistizio, a volte prima a volte anche dopo, nel
1944».9 E’ questo, ad esempio, il caso
del futuro Segretario del PCI Luigi Longo che, dopo essere stato commissario
generale delle Brigate Internazionali in Spagna e uno degli esponenti
di spicco dell’organizzazione comunista del campo del Vernet,
sarà uno dei leader più importanti della Resistenza italiana.10
Sempre nel campo comunista, e per rimanere ai più noti, passarono
dalla Spagna e poi dalla Francia (anche se non sempre per i campi di
internamento) capi partigiani e gappisti come Giovanni Pesce, Osvaldo
Negarville, Antonio Roasio, Giuliano Pajetta e molti altri.11
Ancora Spriano nota come, attraverso queste e altre figure fondamentali,
«l’esperienza spagnola – che è esperienza unitaria
– gioca in alcune precise direzioni: in quella appunto dei Gap
[…]; in quella di una concezione non di partito delle formazioni
garibaldine […]; in quella di dare molta importanza alla figura
del commissario politico […]; nell’audacia e nella capacità
organizzativa che si trovano nei quadri del partito emersi allora».12
Importante fu, dunque, il ruolo giocato dagli “ex spagnoli”
nella formazione dei Gap nel nord Italia. Così nel testo dedicato
alla Lombardia di Luigi Borgomaneri nel Dizionario della Resistenza,
a proposito dei Gruppi d’Azione Patriottica si legge: «Diretti
da ex volontari antifascisti in Spagna, poi passati nelle file dei Francs
tireurs partisans francesi (Francesco Scotti, Vittorio Bardini, Ilio
Barontini, Cessare Roda, Egisto Rubini e Angelo Spada), i Gap furono
immediatamente impiegati nei maggiori centri della regione e insieme
ai distaccamenti di montagna, nel gennaio 1944, vennero inquadrati nella
III Brigata d’assalto Garibaldi Lombardia».13
Non stupisce, dunque, che anche tra i comunisti toscani
reduci dalla Spagna, e in diversi casi anche dall’internamento
e dalla Resistenza in Francia, numerosi abbiano rivestito ruoli di comando
nella guerra partigiana. Erano cioè in molti casi personalità
di grande rilievo, a volte anche di livello internazionale, che, grazie
anche alle esperienze di lotta, al prestigio e al patrimonio di conoscenze
accumulato in giro per l’Europa, hanno inverato il rosselliano
motto Oggi in Spagna, domani in Italia, assumendo un ruolo di primo
piano nella guerra.
Dalle fonti, che avevano consentito di ricostruire le biografie dei
volontari toscani, durante la prima fase della ricerca, era stato generalmente
impossibile andare oltre il momento della conclusione della guerra con
dati analitici. Se si escludono le personalità di particolare
rilievo, spesso si era in possesso di una generica notizia su un successivo
impegno nella Resistenza. La documentazione, che si è aggiunta
nella nuova ricerca – le fonti francesi, provenienti dagli archivi
dei campi d’internamento, in primo luogo, ma anche altri elementi,
tratti da una più vasta e precisa ricognizione sulla bibliografia
e su altri archivi – ci consente una stima quantitativa e un arricchimento
delle storie personali. Rimane tuttavia ancora incompleto l’affresco
su quell’impegno "di lunga durata”, che pure giudichiamo
concettualmente acquisito. L’uscita dall’esperienza spagnola
avviene infatti attraverso percorsi diversi. Alcuni si allontaneranno
dalla Spagna prima della fine della guerra, altri saranno parte della
“marea umana” della Retirada, da lì condividendo
l’internamento nei campi con spagnoli e brigatisti di altre nazionalità
o trovando individualmente la via della fuga. A loro volta, gli internati
potranno uscire con il rimpatrio o l’evasione, in tempi diversi,
nel periodo 1939-1943.
Ci troviamo comunque ad affrontare un tema, cui crediamo di poter attribuire
una grande rilevanza storiografica, ma su cui la bibliografia consultata
non ci ha dato gli strumenti, di cui una ricerca come questa, di carattere
regionale, avrebbe avuto bisogno. Possiamo tuttavia tentare di concettualizzare
le difficoltà con cui ci stiamo misurando, a partire dall’assenza
o incompletezza di fonti, così come si dirà in seguito,
dopo aver sommariamente indicato lo stato delle informazioni raggiunte.
E’ utile intanto una partizione che tenga conto dell’appartenenza
politica, quale primo elemento di differenziazione, che costituisce
una delle variabili degli itinerari personali dei volontari14.
I comunisti sono i più numerosi, tra quanti ritroviamo protagonisti
della guerra di Liberazione in Italia, talvolta solo in Toscana, in
alcuni casi con esperienze fuori dalla regione da cui erano partiti
per la Spagna. Troviamo per esempio il senese Vittorio Bardini, responsabile
del lavoro militare della Federazione Comunista di Firenze, in seguito
responsabile del Comitato militare del Pci lombardo e comandante della
III Brigata Gap; Vasco Matteoli, dopo essere stato responsabile del
Direttivo militare in formazione a Empoli, si sposta a Firenze nel Comitato
toscano di Liberazione nazionale, per essere poi membro del comando
unico militare partigiano in Emilia Romagna, è organizzatore
delle SAP e dei GAP, nome di battaglia "Cervo"; il fiorentino
Nello Montanari diviene dirigente della Resistenza cesenate, il fiorentino
Alfredo Mordini ispettore della Brigata Garibaldi nell’Oltrepò
Pavese. Per altri abbiamo notizie di presenze nella Resistenza toscana.
E’ il caso del livornese Oberdan Chiesa, comandante di un distaccamento
con il grado di sottotenente e, in seguito, commissario politico di
Brigata. Del fiorentino Enrico Fibbi, sappiamo che è stato comandante
della Divisione Ponente e Vicecomandante della 22.a Brigata Lanciotto;
troviamo il massese Giuseppe Iacopini, comandante della Otello Gattoli,
formazione che sarebbe stata in seguito uno dei distaccamenti della
23a Brigata Garibaldi Guido Boscaglia, e il fiorentino Romeo Landini,
tenente colonnello, comandante nella zona apuana. In studi sulla storia
della Resistenza empolese è citata la presenza nelle formazioni
partigiane della zona di Pietro Lari, Vasco Matteoli, Aureliano Santini
e Ricciotti Sani, originario di Vinci (Firenze), con il ruolo di responsabili
del Direttivo militare di Empoli. In seguito Lari sarà anche
membro del Comitato Toscano di Liberazione Nazionale, Sani farà
parte della Brigata d’assalto Gramsci e nella Divisione Cremona
avrà l’incarico dell’organizzazione e della coordinazione
dei Gap, mentre Santini diverrà membro della Giunta militare
del Cln. Del pratese Dino Saccenti è noto il ruolo di comandante
partigiano e organizzatore della sezione Pci di Prato e delle formazioni
del Mugello; il fiorentino Alessandro Sinigaglia fu comandante dei Gap
della sua città. Tra questi Chiesa, Lari e Sinigaglia nella Resistenza
persero la vita. Nella volontà di ricordarli i compagni di Chiesa
e di Sinigaglia intitolarono due formazioni partigiane proprio con il
nome dei due caduti.
Tutti costoro, ad eccezione di Aureliano Santini, erano passati attraverso
l’internamento nei campi francesi. Le loro biografie confermano
l’interpretazione di Claude Del Pla, che in Le camp du Vernet
D’Ariege definisce «le Vernet, réservoir de cadres
de la Résistance Européenne».15
I fascicoli personali, le relazioni della Direzione e della Prefettura
di Foix, il carteggio tra le autorità civili d’Ariège
e i Ministeri degli Interni, prima e dopo la nascita del governo di
Vichy, documentano l’intensa attività politica, che si
svolgeva nel campo, e l’esistenza di reti di collegamento con
l’esterno, che coinvolgevano anche alcuni dei nostri internati,
come si ricava dal testo, contenuto nella sezione specificamente dedicata
ai singoli campi, in questo sito.
Non erano passati dai campi, ma avevano vissuto l’esperienza spagnola
in prima linea, altri comunisti, come il livornese Ilio Barontini, che
fece parte del Comando Generale delle Brigate Garibaldi, fu organizzatore
dei primi Gap e guidò il Cumer (Comando militare unificato dell’Emilia
Romagna); il fiorentino Aldo Lampredi, dirigente partigiano in Veneto
e in Friuli e nella parte finale della guerra alle dirette dipendenze
di Longo; il livornese Arturo Silvano Scotti, fondatore del Cln di Crespina
e poi membro della 3° Brigata Garibaldi di San Vincenzo e presidente
del Cln locale. Di Barontini è noto il ruolo di leader politico
di primo piano, durante e dopo la guerra civile spagnola. Può
essere, la sua, la più rappresentativa tra le esperienze di combattente
di tutte le lotte contro il nazifascismo, in Europa e persino in Africa,
e di trasferimento nelle Resistenze di tecniche militari e modelli politici
sperimentati in Spagna16.
Meno consistente, sia qualitativamente che quantitativamente, fu la
presenza nei quadri dirigenti della Resistenza di non comunisti. Giovanni
De Luna, storico del Partito d’Azione, scrive che «nessuno
degli elementi indicati dall’ultimo Secchia per sottolineare il
ruolo dell’organizzazione (quadri militari rodati dall’esperienza
spagnola, continuità della presenza cospirativa durante il ventennio,
tradizione di lotte operaie e contadine) sembra avere una pregnanza
(tra i reduci della Spagna, attivi in questa fase c’è il
solo Ottorino Orlandini in Toscana). Anche identificando l’organizzazione
con una compiuta consapevolezza dei “quadri” sulle caratteristiche
e sugli obbiettivi della lotta armata, questo elemento è difficilmente
rintracciabile negli esordi resistenziali del PdA la cui partecipazione
alla Resistenza si modellò attraverso approssimazioni successive,
con un pragmatico empirismo di fondo».17 Così
Orlandini, un popolare che in Spagna aveva combattuto sia nella Colonna
GL di Rosselli sia nella Brigata Garibaldi e che era stato internato
nei campi, svolse un ruolo importante nella nascita della formazione
Giustizia e Libertà nel Mugello e fece parte del Comando Militare
del Partito d’Azione della stessa zona. Pochi, sicuramente anche
a causa della loro storica idiosincrasia per i ruoli di comando, furono
i volontari antifranchisti toscani di fede anarchica con ruoli di primo
piano nelle fila partigiane. Tra questi possiamo ricordare il carrarese
ex internato Onofrio Lodovici, comandante partigiano a Carrara e membro
del locale Cln.
Per quanto riguarda i grossetani, ritroviamo il repubblicano, in seguito
comunista, Raffaello Bellucci e il comunista Angelo Rossi entrambi attivi
nella breve durata della Resistenza nel grossetano. L’esperienza
dei campi anche nel loro caso era stata apprendistato politico. Bellucci
fondò il primo Comitato per la lotta partigiana della provincia,
mentre Rossi fu membro del Comitato militare nominato dal Cln provinciale
e anche dopo la Liberazione attivo nella vita politica della sua città,
come dirigente del Pci. Sempre tra gli ex volontari e internati nati
a Grosseto, Siro Rosi, invece, non rientrò in Toscana; Ispettore
Regionale della Delegazione Lombarda del comando generale delle Brigate
d’assalto Garibaldi, dirigente del Pci dopo la fine della guerra,
personaggio singolare, coinvolto in vicende politiche che lo costrinsero
ad essere nuovamente “fuoruscito”, negli anni Cinquanta18.
Il numero totale dei antifranchisti toscani che proseguirono il loro
impegno nella Resistenza italiana non fu però così rilevante
come ci si sarebbe potuti attendere. Le informazioni in nostro possesso
consentono una stima che potrebbe essere in difetto. Solo una verifica
ulteriore potrà dare maggiori certezze. Ci attendiamo qualche
risultato dalla sistematica ricognizione sulla documentazione della
Commissione toscana per il riconoscimento dell’attività
partigiana, che necessita di un incrocio con altre fonti – fino
a questo momento si sono potuti esaminare solo i risultati dell’esame
della documentazione esibita, non tutta quella prodotta dai richiedenti.
I partigiani furono intorno al 18% dei volontari “iberici”.
Probabilmente fu determinante l’età avanzata dei reduci
che, avendo combattuto in Spagna, in numerosi casi, erano già
oltre i trenta anni. Gabriele Ranzato, Camillo Zadra e Davide Zendri,
ragionando sul complesso delle biografie dei volontari italiani in Spagna
non appartenenti a nessun partito politico tramite gli studi dell’AICVAS,
hanno scritto che «la scarsa presenza nelle file resistenziali
di uomini appartenenti a una componente così rilevante può
certo spiegarsi in parte con un dato anagrafico, visto che l’età
media dei volontari era nel 1936 di più di 33 anni, cosicché
nel 1943/44 doveva aggirarsi intorno ai 40».19
Nella maggioranza dei casi i volontari arrivarono in Spagna non direttamente
dall’Italia ma dalla Francia, per cui metà degli anni della
loro esistenza li avevano trascorsi nella difficile condizione economica
e morale tipica degli esiliati e, dunque, la prosecuzione dell’impegno,
anche considerando l’eroismo e l’indubbia fede antifascista
dei volontari, non era di facile attuazione. In questa situazione, che
poteva essere di lontananza ultradecennale e in alcuni casi anche ventennale
dalla madrepatria, il legame con l’Italia, e nel caso da noi più
analiticamente studiato, con la Toscana, non poteva non risultare fortemente
indebolito o, addirittura, ormai assente.
Rimane tuttavia difficile la definizione di un modello
interpretativo; molte delle nostre biografie, escludendo, per coloro
che la vissero, la vicenda dei campi, registrano poche notizie per il
periodo tra il 1939 e il 1944. Si tratta di uno iato di durata variabile,
ma che costituisce una costante, spesso di un tempo di totale silenzio
delle fonti. Se una tale condizione rende difficile, talvolta impossibile,
la ricostruzione della maggior parte dei percorsi individuali, che portarono
o non portarono molti ex volontari della guerra civile alla militanza
nella Resistenza in Italia, sarebbe azzardato tentare una spiegazione
generale delle forme e dei limiti dell’impegno resistenziale dei
nostri. Quello che possiamo dedurre – poco più che un paradigma
indiziario – è che l’assenza di fonti è in
questo caso davvero essa stessa fonte. Il dato, che la ricerca fotografa,
è che quando non si tratti di personalità significative,
sono poche le tracce rimaste negli archivi e nelle memorie, cui finora
si è avuto accesso.
E’ un fatto che ci rimanda a dati oggettivi: alla condizione di
clandestinità che dura anni, alle peregrinazioni attraverso l’Italia
o l’Europa, allo spaesamento di ritorni in Italia, che possiamo
leggere non come ritorni in patria, per il già osservato allentamento
di legami con persone, luoghi, realtà italiane. Diversa strutturalmente
appare la condizione in cui avevano vissuto il periodo precedente intellettuali
o personalità di spicco nella politica italiana, spesso europea.
Diversa anche possiamo supporre quella di quanti si erano politicamente
formati attraverso incontri, e scontri, nell’ambiente particolarissimo
dei campi – Vernet, ma non solo – ed erano passati a un
livello di consapevolezza superiore a quello che li aveva spinti verso
la Spagna, talvolta un generoso impulso giovanile, animato da un orientamento
politico non sempre e necessariamente del tutto maturo. Quindi ci possiamo
limitare a una distinzione tra categorie, sulla base di dati anagrafici,
la permanenza o non permanenza nei campi, l’appartenenza politica,
quest’ultima una chiave di lettura importante, già rilevata
dalla storiografia, che è essenziale citare.
Numericamente furono di gran lunga i comunisti i più impegnati
nella Resistenza. Sempre rapportando il loro numero a quello degli antifascisti,
che le fonti AICVAS definiscono senza partito, Ranzato, Zadra e Zendri
scrivono che «il loro medaglione biografico (dei senza partito)
assomiglia a quello dell’alessandrino Agostino De Negri in cui
si legge: “Nel 1927 emigra in Francia, e nel dicembre 1936 si
porta in Spagna per combattere nelle file della Brigata Garibaldi. Uscito
dalla Spagna nel febbraio 1939, è internato nei campi francesi
di Argelès e Gurs”. Le più ricorrenti varianti a
questo modello sono che di alcuni si dice esplicitamente “emigrato
per ragioni di lavoro”, e che altri, soprattutto emigrati di vecchia
data, abbandonata la Spagna rientrano in Francia nei luoghi di residenza
e scompaiono. Altri ancora […] sono successivamente consegnati
dal regime di Vichy o dai tedeschi alle autorità italiane, le
quali per lo più li relegano al confino […]. Subiscono
cioè la stessa sorte di moltissimi volontari comunisti. Ma mentre
questi ultimi, riacquistata la libertà dopo la caduta di Mussolini,
hanno poi in buon numero militato nella Resistenza, molto pochi “senza
partito” hanno fatto lo stesso».20 La
lettura dei documenti francesi, provenienti dagli archivi dei campi,
soprattutto nella sezione delle relazioni sui rapporti politici tra
gli internati e tra internati e polizia, offrono un altro argomento
per riflettere. I conflitti, che dividono anarchici e comunisti, l’uso
che la polizia francese fece, o tentò di fare, delle profonde
divisioni e dei rancori, lasciati dalla guerra, soprattutto dai fatti
di Barcellona, non è ininfluente rispetto alle scelte dei singoli
e degli ex-volontari, appartenenti alla componente anarchica21.
Secondo i nostri dati, che ancora non intendiamo presentare come definitivi,
i comunisti reduci dall’esperienza spagnola, poi partigiani in
Italia furono una cinquantina, contro una decina circa di anarchici
e altrettanti tra socialisti, repubblicani e antifascisti generici.
Risulta più che doppio il numero dei militanti del Pci che parteciparono
alla guerra contro Franco, se comparato al numero di coloro, che con
altre sensibilità fecero la stessa scelta. A determinare questo
dato fu probabilmente l’esistenza di reti strutturate, contatti
e relazioni a livello internazionale, che i militanti del Pci potevano
mettere in campo, pur con tute le difficoltà e le contraddizioni,
legate alla complessa storia dei rapporti tra l’Internazionale
comunista da una parte e i partiti comunisti nazionali e singoli militanti
dall’altra. Rispetto ad altri orientamenti dell’antifascismo
europeo, si può supporre più accessibile la possibilità
per i comunisti di continuare anche in Italia la lotta contro il fascismo,
iniziata ormai parecchi anni prima.
Concludendo questa riflessione (del tutto provvisoria), dall’assunto
di partenza di questo testo – l’antifascismo di lunga durata,
come dato caratterizzante l’epoca che preparò la sconfitta
del totalitarismo nazista e fascista – non sono certo da escludere
i toscani. Al di là dell’indispensabile avanzamento della
ricerca di fonti, che potrà darci ulteriori argomenti e risposte,
riteniamo che la griglia delle variabili fattuali, che sopra abbiamo
indicate, sulla scorta della poca storiografia a nostra conoscenza e
di quello che si è definito “paradigma indiziario”,
agisca fortemente sulla praticabilità delle scelte successive
alla svolta della durissima sconfitta del ’39. A questo non è
inutile aggiungere che sarà indispensabile predisporre un lavoro
di confronto con i caratteri originali della Resistenza in Toscana,
prevalente tra le regioni in cui operarono i nostri.
(Francesco Cecchetti e Luciana Rocchi)
Note
-
Cfr. Gabriele Ranzato, L’eclissi
della democrazia. La guerra civile spagnola e le sue origini. 1931-1939,
Bollati Boringhieri, Torino 2004, p. 370.
-
Cfr. Carlo Rosselli, Oggi
in Spagna domani in Italia, Einaudi, Torino, 1967, pp. 70-75;
Aldo Garosci, Vita di Carlo Rosselli, Vallecchi, Firenze, 1973,
pp. 449-451, 502.
-
Cfr. Aldo Garosci, Vita di
Carlo Rosselli, cit., p. 502.
-
Memorie di Ottorino Orlandini,
Cap. Roman, luglio 1969, Archivio Istituto Storico della Resistenza
di Firenze, Serie Autobiografie, Busta 6, Fascicolo 3.
-
Claudio Pavone, Una guerra
civile. Saggio storico sulla moralità nella Resistenza,
Bollati Boringhieri, Torino, 1991, p. 307.
-
Cfr. Idem, p. 306-308; Giovanni
Verni, La Resistenza in Toscana, in Storia della Resistenza
in Toscana, a cura di Marco Palla, Vol. primo, Carocci, Bari,
2006, pp. 222-223.
-
Claudio Pavone, Una guerra
civile, cit., p. 308.
-
Cfr. Idem., p. 149.
-
Paolo Spriano, Storia del
Partito comunista italiano, Vol. V, La Resistenza. Togliatti e il
Partito nuovo, Einaudi, Torino, 1975, pp. 62-63.
-
Cfr. Gabriele Ranzato, L’eclissi
della democrazia, cit., p. 366; Luigi Longo, Storia delle
Brigate Internazionali, Editori Riuniti, Roma, 1970; ADEA 5W373
(nelle carte sull’attività politica degli internati
nel campo del Vernet, Longo è indicato come uno dei dirigenti
più importanti del “quartier b”); Paolo Spriano,
Storia del Partito comunista italiano, Vol. III, I fronti
popolari , Stalin, la guerra, Einaudi, Torino, 1970, pp. 327-328;
Paolo Spriano, Storia del Partito Comunista italiano, Vol.
V, cit., p. 63, Franco Andreucci, Tommaso Detti, Il movimento
operaio italiano, Vol. III, Editori Riuniti, Roma, 1977, pp.
149-151.
-
Cfr. Paolo Spriano, Storia
del Partito Comunista, cit., Vol. V, p. 63-64.
-
Idem., p. 64.
-
Luigi Borgomaneri, Lombardia,
in Dizionario della Resistenza. Storia e geografia della Liberazione,
Vol. I, a cura di Enzo Collotti, Renato Sandri e Frediano Sessi,
Einaudi, Torino, 2000, p. 528.
-
Cfr. di seguito, alle note 17
e 18, riferimenti storiografici a sostegno di queste considerazioni.
-
Claude Del Pla, Le camp du
Vernet d’Ariége, Edition Private, Toulouse, p.
57.
-
Su di lui esistono biografie
e studi, utili a dare conto di un’attività politica
e militare frenetica, cui rinviamo (cfr. la voce dedicata nel database,
che rinvia alle fonti bibliografiche cui si è attinto, relativamente
agli anni che seguono il ’39).
-
Giovanni De Luna, Storia
del Partito d’Azione, UTET, Milano, 2006, p. 375.
-
Per le biografie dei grossetani,
così come si trae dalla sezione a loro dedicata, è
stato prezioso il lavoro di esplorazione di archivi e la raccolta
di interviste, in Italia e in Europa, che dobbiamo a Fausto Bucci.
Riferimenti a questo nucleo di volontari sono reperibili in numerose
pubblicazioni di storia locale, ma riteniamo di segnalare qui solo
quelle più utili all’approfondimento del tema di questa
sezione: Bucci F., Bugiani R., Carolini S., Tozzi A., Gli antifascisti
grossetani nella guerra civile spagnola, La Ginestra, Follonica,
2000; Banchi A., Si va pel mondo. Il partito comunista a Grosseto
dalle origini al 1944, a cura di Bucci F., Bugiani R., ARCI,
Pitigliano, 1993.
-
Gabriele Ranzato, Camillo Zadra,
Davide Zendri, “In Spagna per l’idea fascista”.
Legionari trentini nella guerra civile spagnola 1936-1939,
Museo storico della guerra, Rovereto, 2008, p. 23.
-
Idem., p. 24.
-
Un recentissimo studio sull’Internazionale
comunista, che si aggiunge a “una nuova stagione di studi,
tra il 1989 e il 1991 e gli inizi dell’attuale secolo”,
tocca argomenti collegati a queste complesse relazioni, seppure
indirettamente. Vi si analizzano fatti, che sono una spia della
complicatissima situazione dei partiti comunisti, non durante la
guerra civile, ma proprio nel periodo 1939-43, con riferimento specifico
alla nascita del Partito Socialista Unificado de Cataluña,
nel 1936, un’anomalia che s’incunea nel sistema dei
partiti comunisti nazionali, aderenti alla Terza Internazionale
e nel dramma dello scontro mortale tra comunisti e anarchici in
Catalogna, coinvolgendo anche dirigenti francesi e italiani, tra
cui lo stesso Palmiro Togliatti. Dal 1939, il peso della situazione
internazionale, dal patto Molotov-Ribbentrof alle vicende dell’esilio
dei repubblicani spagnoli, alimentò ulteriori dissidi. Questi
fatti non furono privi di conseguenze sul clima politico e le scelte
di quegli antifascisti non spagnoli, sia nei campi, che fuori. Cfr.
Josep Puigesch Farràs, Un caso eccezionale. L’Internazionale
comunista e la “questione spagnola” 1939-1943,
in “Italia contemporanea”, 259, giugno 2010, FrancoAngeli,
Milano, pp. 216-236.
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