Il proseguimento dell’impegno nella Resistenza in Italia

 

Oggi in Spagna domani in Italia. Negli appelli del 13 e del 14 novembre 1936 Carlo Rosselli adottò questa formula che «divenne subito la parola d’ordine - tutt’oggi in Italia ricordata come un momento aurorale della Resistenza armata al fascismo - perché [… ] al di là della specifica localizzazione essa riassumeva il significato da dare alla guerra nella volontà di combattere il fascismo in ogni dove».1 L’avventura spagnola, quindi, assumeva per il leader di Giustizia e Libertà una dimensione più ampia che, attraverso un messaggio di fede che mirava a un’idealizzazione e a un’espansione dell’impresa del volontariato, non poteva che terminare con la lotta per la liberazione dell’Italia.2 Fu proprio per questo che Mussolini considerò sempre Rosselli uno dei più pericolosi antifascisti in esilio e nel giugno 1937 lo fece uccidere, assieme al fratello Nello, da propri agenti francesi a Bagnoles-de-l’Orne, dove Carlo si era recato per curare la gamba ferita durante la battaglia di Monte Pelato. L’obiettivo del capo del fascismo italiano era impedire che la controffensiva si spostasse dalla Spagna in direzione dell’Italia.3 Rosselli non poté, dunque, farlo, ma altri volontari italiani antifranchisti, noti e meno noti, proseguirono, dopo l’esperienza in terra iberica, il loro impegno contro il nazifascismo proprio tornando in Italia. Questa fu anche la scelta di molti toscani. A costoro, che nella maggior parte dei casi avevano alle spalle anche l’esperienza dell’esilio in Francia prima della guerra civile spagnola, si può certamente accostare il concetto di lunga durata di lotta al fascismo. Tra questi Ottorino Orlandini, già combattente anche nella prima guerra mondiale, oltre che in Spagna, che così nelle sue memorie, con amara ironia, ricorda la sua partecipazione a ben tre conflitti bellici in giro per l’Europa: «Le guerre sono sempre state una cosa sporca… Le ho sempre odiate e per tre volte mi ci sono trovato immischiato. E non perché sono stato richiamato; sono sempre stato volontario, ingenuamente e stupidamente volontario».4 A rafforzare la volontà di lottare per la libertà in tutta Europa contribuì probabilmente anche il periodo di internamento che numerosi volontari trascorsero nei campi francesi dopo l’avventura in terra iberica.
La guerra civile rappresentò una delle cornici ideali più importanti della Resistenza italiana in cui, infatti, fu forte la memoria dell’esperienza spagnola intesa «quale grande prova generale del conflitto europeo, proprio sul terreno “civile” e ideologico».5 A corto di esperienza di guerriglia, i partigiani italiani erano gli ultimi arrivati rispetto ai partigiani di altri paesi europei; in particolare i greci e gli jugoslavi esercitavano un fascino particolare sulle prime bande. Forte era anche, di conseguenza, il prestigio dei reduci spagnoli, alcuni dei quali arrivavano anche da un periodo di militanza nella Resistenza francese. Come modello da applicare anche in Italia veniva preso il grande lavoro politico svolto in Spagna tra i primi volontari per farne i soldati di una causa e far sì che le formazioni dei partigiani andassero al di là di bande di franchi tiratori. I reduci da parte loro non dimenticarono certo il periodo trascorso al di là dei Pirenei, nella speranza che la sconfitta dell’Asse conducesse anche alla caduta del regime franchista, e ammonivano che la rivoluzione europea non tralasciasse la Spagna.6 Gli ex volontari andavano comprensibilmente molto orgogliosi della loro esperienza. In modo molto sintomatico i partigiani inquadrati nel 9° Korpus jugoslavo cantavano:


Noi siamo giovani garibaldini
Della Spagna i reduci noi siam
Combattiamo contro i fascisti assassini
Contro chi angoscia l’umanità.7

 

La Resistenza italiana trasse dalla guerra di Spagna anche i termini con cui identificare le proprie formazioni. Fu così che, sulla scia delle Brigate Internazionali, il termine “brigata” ebbe successo anche in Italia.8

Grazie all’esperienza nella guerra di Spagna, per alcuni proseguita in Francia nei campi e poi in carcere o al confino in Italia, i reduci ricoprirono spesso ruoli di comando nelle file della Resistenza. Paolo Spriano, nel quinto volume del suo Storia del Partito Comunista Italiano, scrive in proposito: «Il 90% dei quadri dirigenti arriva da un tirocinio che si è compiuto a Portolongone, a Castelfranco Emilia, Fossano, Sulmona, Perugia, Turi di Bari, Pianosa, Ponza, Ventotene, le Tremiti, ecc., o dalla milizia dell’emigrazione. In centinaia di casi si sono accumulate le due esperienze, con espatri e rimpatri clandestini, con “soggiorni” in carcere resi più brevi dalle varie amnistie e condoni del regime, e con ritorni “nelle mani del nemico” attraverso i provvedimenti “amministrativi” del confino. […] C’è una punta di diamante, tra loro, come valido addestramento militare: sono i reduci della guerra di Spagna, […], che rastrellati in Francia dai tedeschi nel 1940-42, consegnati alle autorità fasciste, hanno raggiunto al confino di polizia di Ventotene i loro compagni, oppure che, riusciti a passare dal famigerato campo del Vernet al maquis francese, traversano le Alpi in questi stessi giorni dell’armistizio, a volte prima a volte anche dopo, nel 1944».9 E’ questo, ad esempio, il caso del futuro Segretario del PCI Luigi Longo che, dopo essere stato commissario generale delle Brigate Internazionali in Spagna e uno degli esponenti di spicco dell’organizzazione comunista del campo del Vernet, sarà uno dei leader più importanti della Resistenza italiana.10 Sempre nel campo comunista, e per rimanere ai più noti, passarono dalla Spagna e poi dalla Francia (anche se non sempre per i campi di internamento) capi partigiani e gappisti come Giovanni Pesce, Osvaldo Negarville, Antonio Roasio, Giuliano Pajetta e molti altri.11 Ancora Spriano nota come, attraverso queste e altre figure fondamentali, «l’esperienza spagnola – che è esperienza unitaria – gioca in alcune precise direzioni: in quella appunto dei Gap […]; in quella di una concezione non di partito delle formazioni garibaldine […]; in quella di dare molta importanza alla figura del commissario politico […]; nell’audacia e nella capacità organizzativa che si trovano nei quadri del partito emersi allora».12 Importante fu, dunque, il ruolo giocato dagli “ex spagnoli” nella formazione dei Gap nel nord Italia. Così nel testo dedicato alla Lombardia di Luigi Borgomaneri nel Dizionario della Resistenza, a proposito dei Gruppi d’Azione Patriottica si legge: «Diretti da ex volontari antifascisti in Spagna, poi passati nelle file dei Francs tireurs partisans francesi (Francesco Scotti, Vittorio Bardini, Ilio Barontini, Cessare Roda, Egisto Rubini e Angelo Spada), i Gap furono immediatamente impiegati nei maggiori centri della regione e insieme ai distaccamenti di montagna, nel gennaio 1944, vennero inquadrati nella III Brigata d’assalto Garibaldi Lombardia».13

Non stupisce, dunque, che anche tra i comunisti toscani reduci dalla Spagna, e in diversi casi anche dall’internamento e dalla Resistenza in Francia, numerosi abbiano rivestito ruoli di comando nella guerra partigiana. Erano cioè in molti casi personalità di grande rilievo, a volte anche di livello internazionale, che, grazie anche alle esperienze di lotta, al prestigio e al patrimonio di conoscenze accumulato in giro per l’Europa, hanno inverato il rosselliano motto Oggi in Spagna, domani in Italia, assumendo un ruolo di primo piano nella guerra.
Dalle fonti, che avevano consentito di ricostruire le biografie dei volontari toscani, durante la prima fase della ricerca, era stato generalmente impossibile andare oltre il momento della conclusione della guerra con dati analitici. Se si escludono le personalità di particolare rilievo, spesso si era in possesso di una generica notizia su un successivo impegno nella Resistenza. La documentazione, che si è aggiunta nella nuova ricerca – le fonti francesi, provenienti dagli archivi dei campi d’internamento, in primo luogo, ma anche altri elementi, tratti da una più vasta e precisa ricognizione sulla bibliografia e su altri archivi – ci consente una stima quantitativa e un arricchimento delle storie personali. Rimane tuttavia ancora incompleto l’affresco su quell’impegno "di lunga durata”, che pure giudichiamo concettualmente acquisito. L’uscita dall’esperienza spagnola avviene infatti attraverso percorsi diversi. Alcuni si allontaneranno dalla Spagna prima della fine della guerra, altri saranno parte della “marea umana” della Retirada, da lì condividendo l’internamento nei campi con spagnoli e brigatisti di altre nazionalità o trovando individualmente la via della fuga. A loro volta, gli internati potranno uscire con il rimpatrio o l’evasione, in tempi diversi, nel periodo 1939-1943.
Ci troviamo comunque ad affrontare un tema, cui crediamo di poter attribuire una grande rilevanza storiografica, ma su cui la bibliografia consultata non ci ha dato gli strumenti, di cui una ricerca come questa, di carattere regionale, avrebbe avuto bisogno. Possiamo tuttavia tentare di concettualizzare le difficoltà con cui ci stiamo misurando, a partire dall’assenza o incompletezza di fonti, così come si dirà in seguito, dopo aver sommariamente indicato lo stato delle informazioni raggiunte.
E’ utile intanto una partizione che tenga conto dell’appartenenza politica, quale primo elemento di differenziazione, che costituisce una delle variabili degli itinerari personali dei volontari14.
I comunisti sono i più numerosi, tra quanti ritroviamo protagonisti della guerra di Liberazione in Italia, talvolta solo in Toscana, in alcuni casi con esperienze fuori dalla regione da cui erano partiti per la Spagna. Troviamo per esempio il senese Vittorio Bardini, responsabile del lavoro militare della Federazione Comunista di Firenze, in seguito responsabile del Comitato militare del Pci lombardo e comandante della III Brigata Gap; Vasco Matteoli, dopo essere stato responsabile del Direttivo militare in formazione a Empoli, si sposta a Firenze nel Comitato toscano di Liberazione nazionale, per essere poi membro del comando unico militare partigiano in Emilia Romagna, è organizzatore delle SAP e dei GAP, nome di battaglia "Cervo"; il fiorentino Nello Montanari diviene dirigente della Resistenza cesenate, il fiorentino Alfredo Mordini ispettore della Brigata Garibaldi nell’Oltrepò Pavese. Per altri abbiamo notizie di presenze nella Resistenza toscana. E’ il caso del livornese Oberdan Chiesa, comandante di un distaccamento con il grado di sottotenente e, in seguito, commissario politico di Brigata. Del fiorentino Enrico Fibbi, sappiamo che è stato comandante della Divisione Ponente e Vicecomandante della 22.a Brigata Lanciotto; troviamo il massese Giuseppe Iacopini, comandante della Otello Gattoli, formazione che sarebbe stata in seguito uno dei distaccamenti della 23a Brigata Garibaldi Guido Boscaglia, e il fiorentino Romeo Landini, tenente colonnello, comandante nella zona apuana. In studi sulla storia della Resistenza empolese è citata la presenza nelle formazioni partigiane della zona di Pietro Lari, Vasco Matteoli, Aureliano Santini e Ricciotti Sani, originario di Vinci (Firenze), con il ruolo di responsabili del Direttivo militare di Empoli. In seguito Lari sarà anche membro del Comitato Toscano di Liberazione Nazionale, Sani farà parte della Brigata d’assalto Gramsci e nella Divisione Cremona avrà l’incarico dell’organizzazione e della coordinazione dei Gap, mentre Santini diverrà membro della Giunta militare del Cln. Del pratese Dino Saccenti è noto il ruolo di comandante partigiano e organizzatore della sezione Pci di Prato e delle formazioni del Mugello; il fiorentino Alessandro Sinigaglia fu comandante dei Gap della sua città. Tra questi Chiesa, Lari e Sinigaglia nella Resistenza persero la vita. Nella volontà di ricordarli i compagni di Chiesa e di Sinigaglia intitolarono due formazioni partigiane proprio con il nome dei due caduti.
Tutti costoro, ad eccezione di Aureliano Santini, erano passati attraverso l’internamento nei campi francesi. Le loro biografie confermano l’interpretazione di Claude Del Pla, che in Le camp du Vernet D’Ariege definisce «le Vernet, réservoir de cadres de la Résistance Européenne».15 I fascicoli personali, le relazioni della Direzione e della Prefettura di Foix, il carteggio tra le autorità civili d’Ariège e i Ministeri degli Interni, prima e dopo la nascita del governo di Vichy, documentano l’intensa attività politica, che si svolgeva nel campo, e l’esistenza di reti di collegamento con l’esterno, che coinvolgevano anche alcuni dei nostri internati, come si ricava dal testo, contenuto nella sezione specificamente dedicata ai singoli campi, in questo sito.
Non erano passati dai campi, ma avevano vissuto l’esperienza spagnola in prima linea, altri comunisti, come il livornese Ilio Barontini, che fece parte del Comando Generale delle Brigate Garibaldi, fu organizzatore dei primi Gap e guidò il Cumer (Comando militare unificato dell’Emilia Romagna); il fiorentino Aldo Lampredi, dirigente partigiano in Veneto e in Friuli e nella parte finale della guerra alle dirette dipendenze di Longo; il livornese Arturo Silvano Scotti, fondatore del Cln di Crespina e poi membro della 3° Brigata Garibaldi di San Vincenzo e presidente del Cln locale. Di Barontini è noto il ruolo di leader politico di primo piano, durante e dopo la guerra civile spagnola. Può essere, la sua, la più rappresentativa tra le esperienze di combattente di tutte le lotte contro il nazifascismo, in Europa e persino in Africa, e di trasferimento nelle Resistenze di tecniche militari e modelli politici sperimentati in Spagna16.
Meno consistente, sia qualitativamente che quantitativamente, fu la presenza nei quadri dirigenti della Resistenza di non comunisti. Giovanni De Luna, storico del Partito d’Azione, scrive che «nessuno degli elementi indicati dall’ultimo Secchia per sottolineare il ruolo dell’organizzazione (quadri militari rodati dall’esperienza spagnola, continuità della presenza cospirativa durante il ventennio, tradizione di lotte operaie e contadine) sembra avere una pregnanza (tra i reduci della Spagna, attivi in questa fase c’è il solo Ottorino Orlandini in Toscana). Anche identificando l’organizzazione con una compiuta consapevolezza dei “quadri” sulle caratteristiche e sugli obbiettivi della lotta armata, questo elemento è difficilmente rintracciabile negli esordi resistenziali del PdA la cui partecipazione alla Resistenza si modellò attraverso approssimazioni successive, con un pragmatico empirismo di fondo».17 Così Orlandini, un popolare che in Spagna aveva combattuto sia nella Colonna GL di Rosselli sia nella Brigata Garibaldi e che era stato internato nei campi, svolse un ruolo importante nella nascita della formazione Giustizia e Libertà nel Mugello e fece parte del Comando Militare del Partito d’Azione della stessa zona. Pochi, sicuramente anche a causa della loro storica idiosincrasia per i ruoli di comando, furono i volontari antifranchisti toscani di fede anarchica con ruoli di primo piano nelle fila partigiane. Tra questi possiamo ricordare il carrarese ex internato Onofrio Lodovici, comandante partigiano a Carrara e membro del locale Cln.
Per quanto riguarda i grossetani, ritroviamo il repubblicano, in seguito comunista, Raffaello Bellucci e il comunista Angelo Rossi entrambi attivi nella breve durata della Resistenza nel grossetano. L’esperienza dei campi anche nel loro caso era stata apprendistato politico. Bellucci fondò il primo Comitato per la lotta partigiana della provincia, mentre Rossi fu membro del Comitato militare nominato dal Cln provinciale e anche dopo la Liberazione attivo nella vita politica della sua città, come dirigente del Pci. Sempre tra gli ex volontari e internati nati a Grosseto, Siro Rosi, invece, non rientrò in Toscana; Ispettore Regionale della Delegazione Lombarda del comando generale delle Brigate d’assalto Garibaldi, dirigente del Pci dopo la fine della guerra, personaggio singolare, coinvolto in vicende politiche che lo costrinsero ad essere nuovamente “fuoruscito”, negli anni Cinquanta18.
Il numero totale dei antifranchisti toscani che proseguirono il loro impegno nella Resistenza italiana non fu però così rilevante come ci si sarebbe potuti attendere. Le informazioni in nostro possesso consentono una stima che potrebbe essere in difetto. Solo una verifica ulteriore potrà dare maggiori certezze. Ci attendiamo qualche risultato dalla sistematica ricognizione sulla documentazione della Commissione toscana per il riconoscimento dell’attività partigiana, che necessita di un incrocio con altre fonti – fino a questo momento si sono potuti esaminare solo i risultati dell’esame della documentazione esibita, non tutta quella prodotta dai richiedenti. I partigiani furono intorno al 18% dei volontari “iberici”. Probabilmente fu determinante l’età avanzata dei reduci che, avendo combattuto in Spagna, in numerosi casi, erano già oltre i trenta anni. Gabriele Ranzato, Camillo Zadra e Davide Zendri, ragionando sul complesso delle biografie dei volontari italiani in Spagna non appartenenti a nessun partito politico tramite gli studi dell’AICVAS, hanno scritto che «la scarsa presenza nelle file resistenziali di uomini appartenenti a una componente così rilevante può certo spiegarsi in parte con un dato anagrafico, visto che l’età media dei volontari era nel 1936 di più di 33 anni, cosicché nel 1943/44 doveva aggirarsi intorno ai 40».19 Nella maggioranza dei casi i volontari arrivarono in Spagna non direttamente dall’Italia ma dalla Francia, per cui metà degli anni della loro esistenza li avevano trascorsi nella difficile condizione economica e morale tipica degli esiliati e, dunque, la prosecuzione dell’impegno, anche considerando l’eroismo e l’indubbia fede antifascista dei volontari, non era di facile attuazione. In questa situazione, che poteva essere di lontananza ultradecennale e in alcuni casi anche ventennale dalla madrepatria, il legame con l’Italia, e nel caso da noi più analiticamente studiato, con la Toscana, non poteva non risultare fortemente indebolito o, addirittura, ormai assente.

Rimane tuttavia difficile la definizione di un modello interpretativo; molte delle nostre biografie, escludendo, per coloro che la vissero, la vicenda dei campi, registrano poche notizie per il periodo tra il 1939 e il 1944. Si tratta di uno iato di durata variabile, ma che costituisce una costante, spesso di un tempo di totale silenzio delle fonti. Se una tale condizione rende difficile, talvolta impossibile, la ricostruzione della maggior parte dei percorsi individuali, che portarono o non portarono molti ex volontari della guerra civile alla militanza nella Resistenza in Italia, sarebbe azzardato tentare una spiegazione generale delle forme e dei limiti dell’impegno resistenziale dei nostri. Quello che possiamo dedurre – poco più che un paradigma indiziario – è che l’assenza di fonti è in questo caso davvero essa stessa fonte. Il dato, che la ricerca fotografa, è che quando non si tratti di personalità significative, sono poche le tracce rimaste negli archivi e nelle memorie, cui finora si è avuto accesso.
E’ un fatto che ci rimanda a dati oggettivi: alla condizione di clandestinità che dura anni, alle peregrinazioni attraverso l’Italia o l’Europa, allo spaesamento di ritorni in Italia, che possiamo leggere non come ritorni in patria, per il già osservato allentamento di legami con persone, luoghi, realtà italiane. Diversa strutturalmente appare la condizione in cui avevano vissuto il periodo precedente intellettuali o personalità di spicco nella politica italiana, spesso europea. Diversa anche possiamo supporre quella di quanti si erano politicamente formati attraverso incontri, e scontri, nell’ambiente particolarissimo dei campi – Vernet, ma non solo – ed erano passati a un livello di consapevolezza superiore a quello che li aveva spinti verso la Spagna, talvolta un generoso impulso giovanile, animato da un orientamento politico non sempre e necessariamente del tutto maturo. Quindi ci possiamo limitare a una distinzione tra categorie, sulla base di dati anagrafici, la permanenza o non permanenza nei campi, l’appartenenza politica, quest’ultima una chiave di lettura importante, già rilevata dalla storiografia, che è essenziale citare.
Numericamente furono di gran lunga i comunisti i più impegnati nella Resistenza. Sempre rapportando il loro numero a quello degli antifascisti, che le fonti AICVAS definiscono senza partito, Ranzato, Zadra e Zendri scrivono che «il loro medaglione biografico (dei senza partito) assomiglia a quello dell’alessandrino Agostino De Negri in cui si legge: “Nel 1927 emigra in Francia, e nel dicembre 1936 si porta in Spagna per combattere nelle file della Brigata Garibaldi. Uscito dalla Spagna nel febbraio 1939, è internato nei campi francesi di Argelès e Gurs”. Le più ricorrenti varianti a questo modello sono che di alcuni si dice esplicitamente “emigrato per ragioni di lavoro”, e che altri, soprattutto emigrati di vecchia data, abbandonata la Spagna rientrano in Francia nei luoghi di residenza e scompaiono. Altri ancora […] sono successivamente consegnati dal regime di Vichy o dai tedeschi alle autorità italiane, le quali per lo più li relegano al confino […]. Subiscono cioè la stessa sorte di moltissimi volontari comunisti. Ma mentre questi ultimi, riacquistata la libertà dopo la caduta di Mussolini, hanno poi in buon numero militato nella Resistenza, molto pochi “senza partito” hanno fatto lo stesso».20 La lettura dei documenti francesi, provenienti dagli archivi dei campi, soprattutto nella sezione delle relazioni sui rapporti politici tra gli internati e tra internati e polizia, offrono un altro argomento per riflettere. I conflitti, che dividono anarchici e comunisti, l’uso che la polizia francese fece, o tentò di fare, delle profonde divisioni e dei rancori, lasciati dalla guerra, soprattutto dai fatti di Barcellona, non è ininfluente rispetto alle scelte dei singoli e degli ex-volontari, appartenenti alla componente anarchica21.
Secondo i nostri dati, che ancora non intendiamo presentare come definitivi, i comunisti reduci dall’esperienza spagnola, poi partigiani in Italia furono una cinquantina, contro una decina circa di anarchici e altrettanti tra socialisti, repubblicani e antifascisti generici. Risulta più che doppio il numero dei militanti del Pci che parteciparono alla guerra contro Franco, se comparato al numero di coloro, che con altre sensibilità fecero la stessa scelta. A determinare questo dato fu probabilmente l’esistenza di reti strutturate, contatti e relazioni a livello internazionale, che i militanti del Pci potevano mettere in campo, pur con tute le difficoltà e le contraddizioni, legate alla complessa storia dei rapporti tra l’Internazionale comunista da una parte e i partiti comunisti nazionali e singoli militanti dall’altra. Rispetto ad altri orientamenti dell’antifascismo europeo, si può supporre più accessibile la possibilità per i comunisti di continuare anche in Italia la lotta contro il fascismo, iniziata ormai parecchi anni prima.
Concludendo questa riflessione (del tutto provvisoria), dall’assunto di partenza di questo testo – l’antifascismo di lunga durata, come dato caratterizzante l’epoca che preparò la sconfitta del totalitarismo nazista e fascista – non sono certo da escludere i toscani. Al di là dell’indispensabile avanzamento della ricerca di fonti, che potrà darci ulteriori argomenti e risposte, riteniamo che la griglia delle variabili fattuali, che sopra abbiamo indicate, sulla scorta della poca storiografia a nostra conoscenza e di quello che si è definito “paradigma indiziario”, agisca fortemente sulla praticabilità delle scelte successive alla svolta della durissima sconfitta del ’39. A questo non è inutile aggiungere che sarà indispensabile predisporre un lavoro di confronto con i caratteri originali della Resistenza in Toscana, prevalente tra le regioni in cui operarono i nostri.

 

(Francesco Cecchetti e Luciana Rocchi)

 

 

Note

  1. Cfr. Gabriele Ranzato, L’eclissi della democrazia. La guerra civile spagnola e le sue origini. 1931-1939, Bollati Boringhieri, Torino 2004, p. 370.
  2. Cfr. Carlo Rosselli, Oggi in Spagna domani in Italia, Einaudi, Torino, 1967, pp. 70-75; Aldo Garosci, Vita di Carlo Rosselli, Vallecchi, Firenze, 1973, pp. 449-451, 502.
  3. Cfr. Aldo Garosci, Vita di Carlo Rosselli, cit., p. 502.
  4. Memorie di Ottorino Orlandini, Cap. Roman, luglio 1969, Archivio Istituto Storico della Resistenza di Firenze, Serie Autobiografie, Busta 6, Fascicolo 3.
  5. Claudio Pavone, Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella Resistenza, Bollati Boringhieri, Torino, 1991, p. 307.
  6. Cfr. Idem, p. 306-308; Giovanni Verni, La Resistenza in Toscana, in Storia della Resistenza in Toscana, a cura di Marco Palla, Vol. primo, Carocci, Bari, 2006, pp. 222-223.
  7. Claudio Pavone, Una guerra civile, cit., p. 308.
  8. Cfr. Idem., p. 149.
  9. Paolo Spriano, Storia del Partito comunista italiano, Vol. V, La Resistenza. Togliatti e il Partito nuovo, Einaudi, Torino, 1975, pp. 62-63.
  10. Cfr. Gabriele Ranzato, L’eclissi della democrazia, cit., p. 366; Luigi Longo, Storia delle Brigate Internazionali, Editori Riuniti, Roma, 1970; ADEA 5W373 (nelle carte sull’attività politica degli internati nel campo del Vernet, Longo è indicato come uno dei dirigenti più importanti del “quartier b”); Paolo Spriano, Storia del Partito comunista italiano, Vol. III, I fronti popolari , Stalin, la guerra, Einaudi, Torino, 1970, pp. 327-328; Paolo Spriano, Storia del Partito Comunista italiano, Vol. V, cit., p. 63, Franco Andreucci, Tommaso Detti, Il movimento operaio italiano, Vol. III, Editori Riuniti, Roma, 1977, pp. 149-151.
  11. Cfr. Paolo Spriano, Storia del Partito Comunista, cit., Vol. V, p. 63-64.
  12. Idem., p. 64.
  13. Luigi Borgomaneri, Lombardia, in Dizionario della Resistenza. Storia e geografia della Liberazione, Vol. I, a cura di Enzo Collotti, Renato Sandri e Frediano Sessi, Einaudi, Torino, 2000, p. 528.
  14. Cfr. di seguito, alle note 17 e 18, riferimenti storiografici a sostegno di queste considerazioni.
  15. Claude Del Pla, Le camp du Vernet d’Ariége, Edition Private, Toulouse, p. 57.
  16. Su di lui esistono biografie e studi, utili a dare conto di un’attività politica e militare frenetica, cui rinviamo (cfr. la voce dedicata nel database, che rinvia alle fonti bibliografiche cui si è attinto, relativamente agli anni che seguono il ’39).
  17. Giovanni De Luna, Storia del Partito d’Azione, UTET, Milano, 2006, p. 375.
  18. Per le biografie dei grossetani, così come si trae dalla sezione a loro dedicata, è stato prezioso il lavoro di esplorazione di archivi e la raccolta di interviste, in Italia e in Europa, che dobbiamo a Fausto Bucci. Riferimenti a questo nucleo di volontari sono reperibili in numerose pubblicazioni di storia locale, ma riteniamo di segnalare qui solo quelle più utili all’approfondimento del tema di questa sezione: Bucci F., Bugiani R., Carolini S., Tozzi A., Gli antifascisti grossetani nella guerra civile spagnola, La Ginestra, Follonica, 2000; Banchi A., Si va pel mondo. Il partito comunista a Grosseto dalle origini al 1944, a cura di Bucci F., Bugiani R., ARCI, Pitigliano, 1993.
  19. Gabriele Ranzato, Camillo Zadra, Davide Zendri, “In Spagna per l’idea fascista”. Legionari trentini nella guerra civile spagnola 1936-1939, Museo storico della guerra, Rovereto, 2008, p. 23.
  20. Idem., p. 24.
  21. Un recentissimo studio sull’Internazionale comunista, che si aggiunge a “una nuova stagione di studi, tra il 1989 e il 1991 e gli inizi dell’attuale secolo”, tocca argomenti collegati a queste complesse relazioni, seppure indirettamente. Vi si analizzano fatti, che sono una spia della complicatissima situazione dei partiti comunisti, non durante la guerra civile, ma proprio nel periodo 1939-43, con riferimento specifico alla nascita del Partito Socialista Unificado de Cataluña, nel 1936, un’anomalia che s’incunea nel sistema dei partiti comunisti nazionali, aderenti alla Terza Internazionale e nel dramma dello scontro mortale tra comunisti e anarchici in Catalogna, coinvolgendo anche dirigenti francesi e italiani, tra cui lo stesso Palmiro Togliatti. Dal 1939, il peso della situazione internazionale, dal patto Molotov-Ribbentrof alle vicende dell’esilio dei repubblicani spagnoli, alimentò ulteriori dissidi. Questi fatti non furono privi di conseguenze sul clima politico e le scelte di quegli antifascisti non spagnoli, sia nei campi, che fuori. Cfr. Josep Puigesch Farràs, Un caso eccezionale. L’Internazionale comunista e la “questione spagnola” 1939-1943, in “Italia contemporanea”, 259, giugno 2010, FrancoAngeli, Milano, pp. 216-236.